IL TRENO CHE PORTA IN MONTAGNA, OVVERO IL NOSTRO TRENO DAY di Carlo Capannolo.
“Andare in montagna prendendo il treno? All’inizio questa proposta mi è sembrata una bizzarria, la stessa che ti porta a provare situazioni insolite dopo aver sperimentato un po’ di tutto o quasi. L’appuntamento è stabilito alle 7.00 al piazzale della stazione ferroviaria dell’Aquila. Non appena arrivo e trovo i miei amici di escursione, rifletto subito sul fatto che da almeno 10 anni non tornavo in questo angolo della nostra città. A dire il vero tutto è rimasto fermo in questa stazione di capoluogo di provincia che da un lato chiede vendetta rispetto all’avvento della tecnologia, dall’altro ci appare subito a gestione prettamente “umana” dagli sguardi familiari e compiacenti degli addetti un po’ stupiti di vederci con attrezzatura di alta quota davanti ai binari”. Forse in un’altra regione del norditalia la cosa sarebbe stata del tutto normale. “Dopo aver rotto gli indugi, saliamo su un treno che all’esterno ricorda veicoli d’altri tempi. Un passeggero normale si sarebbe stupito, ma avverto subito il senso profondo di questa escursione proposta dall’amico Paolo che ha voluto “imporci” un possibile ritorno al passato: niente autovettura, tempi dilatati e subordinati ad un mezzo di locomozione che rimanda idealmente alle possibilità di spostamento, per altro assai limitate, concesse alle passate generazioni.
Per un attimo mi rimbalza nella mente l’immoti manemus che incombe nella nostra condizione di aquilani, ma subito comprendo che non è questa la mattina giusta per l’autocommiserazione. In fondo il ritorno al passato è quello che cercavamo e questa linea ferroviaria così fuori dai tempi attuali ci accontenta nel desiderio.
Un giovane, dalla evidente e lunga barba anche se ben curata, ci chiede, con curiosità, la nostra meta e, sebbene il tratto da fare insieme è breve, approfondiamo la conoscenza con il ragazzo che dice di essere un postulante francescano diretto ad Assisi dove l’attende il periodo di noviziato che prelude all’ingesso definitivo nell’ordine vero e proprio.
Il discorso si sposta immediatamente sulla sua scelta di vita e si rafforza in noi la sensazione di provare momenti unici e connotati da profonda semplicità, su questo monovagone che procede lentamente con il suo carico di diversa umanità. Giunti alla vecchia e oramai abbandonata stazione di Sella di Corno, scendiamo per procedere di lì su tracce di carrareccia molto innevata come d’altra parte il resto dell’ambiente che ci circonda. Il passaggio dalla condizione di passeggero a quella di escursionista avviene però senza sussulti interiori, non c’è frattura tra il prima e il dopo, né traccia di nostalgia in noi, nonostante il freddo intenso che soffriamo all’inizio.


Il sentiero si inoltra e gradatamente si alza tra il bosco per lasciare posto ad una serie di tornantelli con i quali si snoda con grazia. Finalmente dopo l’ennesimo dosso superato in mezzo ad uno strato di neve candida e in queste zone immacolata, si apre davanti ai nostri occhi l’immensa distesa del Lago di Racino dalla superficie completamente gelata e un colore grigio tenue che sfuma di poco rispetto al candore circostante.


La vista è spettacolare quando dall’alto osserviamo questa distesa di ghiaccio, una macchia lunare che si impone con i contorni spezzati. Acqua e montagna, un binomio consolidato, normale per la considerazione di coloro che vanno per i sentieri, eppure in questo caso avvertiamo subito l’unicità della presenza di questo lago sorgivo posto al centro di una piana così grande. Scendiamo, percorrendo un lungo sentiero, fino alla superficie del lago e la percezione di tanta bellezza naturale che investe il paesaggio tutt’intorno ci impone un severo silenzio. Abbiamo la consapevolezza di essere quasi degli intrusi, o comunque ospiti per lo meno inattesi, per uno stormo di Germani Imperiali che ci accoglie levandosi in volo. Riprendiamo poi a salire fino ad un antico e diruto punto di avvistamento dal quale adesso abbiamo una visuale a 360° del lago e dell’intero comprensorio circostante nel quale il candore della neve caduta abbondante crea baluginii sotto i riflessi del sole.







Giusto il tempo di godere di questo spettacolo per la vista e poi decidiamo di riprendere la via del ritorno, come sempre contrastati tra il desiderio di fondersi con la bellezza che ci circonda e il pensiero che razionalmente spinge a considerazioni oggettive di responsabilità in quanto esseri integrati nel vivere civile. Ci attende la piccola stazione ferroviaria di Sella di Corno che appena raggiunta sembra ora meno desolata dell’arrivo. Giunti in anticipo, dopo lunga attesa il treno giunge puntuale preannunciato dal suono di una campana che ci scuote dal sogno: lasciamo il centro dei nostri interessi per tornare in Città, ma senza strappi o sussulti all’interno di questo monovagone che non corre, ma quasi si adagia lungo due linee nere che parallele tagliano il paesaggio”.
