Dall’”Odissea” al “Buran” di Enrica Battifoglia

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Il nome “Buran”, accanto a quello meno corretto di “Burian”, in una confusione di termini vorticosa quanto le correnti atmosferiche.  Burian è infatti il nome Russo con il quale si indica l’erbaccia, mentre Buran è il nome che le popolazioni della Siberia e della Mongolia danno al vento di ghiaccio e neve che in inverno soffia da Nord-Est sulla steppa, portando con sé un freddo estremo e violente tempeste di neve che possono persistere per settimane. Il Buran è un vento impetuoso e tremendo, che prende nomi diversi a seconda delle regioni sulle quali soffia: si chiama Buran nelle steppe della Siberia, in quelle della Mongolia e del Kazakhstan, come nella regione cinese nord-occidentale del Xinjiang; nelle regioni della tundra, invece viene chiamato Purga, mentre in Alaska diventa Burga. Ovunque soffi, questo vento gelido è così violento da sollevare la neve ghiacciata depositata al suolo e quei cristalli, combinandosi con la neve che il vento porta con sé, possono cancellare i contorni di ogni cosa riducendo la visibilità a zero. In condizioni normali il Buran si abbatte sulle regioni che si trovano immediatamente al di sotto della zona artica, ma nell’inverno 2018 ha modificato il suo percorso fino a raggiungere l’Europa meridionale e imperversando, anche se fortunatamente per breve periodo, sulle regioni del Mediterraneo. Sull’Italia ha portato per alcuni giorni temperature molto rigide, gelo e neve a bassa quota. In condizioni normali le masse d’aria fredda che si trovano in corrispondenza dell’Artico si spostano nella direzione che va da Ovest a Est, in linea con la rotazione terrestre, intrappolate in una sorta di nastro chiamato “vortice polare”. Esiste un vortice polare anche in corrispondenza del Polo Sud, dove la rotazione avviene da Est a Ovest, e in entrambi i casi questi fenomeni racchiudono l’aria fredda continuamente generata in corrispondenza dei poli, “ingabbiandola” nello strato più basso dell’atmosfera: la troposfera. Questo equilibrio può essere turbato quando lo strato immediatamente superiore alla troposfera, ossia la stratosfera, si riscalda in modo anomalo e molto rapido. “In inverno può accadere che si verifichi un’anomalia chiamata Sudden Stratospheric Worming, ossia riscaldamento stratosferico rapido, vale a dire un riscaldamento che avviene nell’arco di pochi giorni”, spiega Massimiliano Pasqui, dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Quando questo avviene il calore anomalo della stratosfera disturba la circolazione delle masse d’aria fredda nel vortice polare, bloccando la normale rotazione da Ovest a Est e invertendola. “Questo movimento retrogrado ha fatto spostare la massa d’aria da Est a Ovest, fino alle regioni del  Mediterraneo”, ha osservato Pasqui. Non soltanto il riscaldamento della stratosfera è stato tale da spezzare in due il vortice polare e, di conseguenza, l’aria gelida che il vortice riusciva a contenere è stata dispersa e ha cominciato a scendere verso le latitudini più basse. Mentre in corrispondenza del Polo Nord è nata un’area di alta pressione, le correnti di aria fredda sono scese verso Sud portando il gelo. “Lo  stesso meccanismo può portare aria più fredda sull’Italia, come è successo in occasione delle nevicate a bassa quota avvenute nel 1985, nel 1986 e nel 2012”. Guardando al passato, ondate di freddo analoghe sul nostro Paese, con nevicate a bassa quota sono avvenute nel 1929, 1956 e nel 1963. Fenomeni come questi sono brevi: durano al massimo qualche giorno, dopodiché il vortice polare si ricompone. Il Buran è un esempio di come i venti siano dei registri che, a volte in modo violento e in altri casi impercettibile, modellano l’ambiente. I loro effetti sono visibili nelle zone in cui la vegetazione è scarsa per il ruolo che giocano nell’erosione delle rocce, o nel disegnare le dune nei deserti, o ancora nel determinare le caratteristiche del clima a livello locale. Possono essere gelidi come il Buran o impetuosi come quelli che danno orine a cicloni, uragani e tornado. I fortissimi venti che spazzano l’Antartide soffiano dall’interno del continente verso le coste costituiscono un vero e proprio motore del clima in quanto determinano le oscillazioni del ghiaccio marino che costituisce la banchisa e che varia con le stagioni. Un fenomeno naturale così onnipresente è importante come il vento ha colpito l’uomo fin dai tempi più antichi e molto presto è nata l’esigenza di dare un nome ai tanti modi di manifestarsi di questa forza della natura. Fin dall’inizio il nome dei venti è stato legato alla loro provenienza rispetto ai punti cardinali, rappresentata graficamente dalla Rosa dei Venti, il diagramma chiamato così perché il modo in cui sono disposti i rombi che lo costituiscono ricorda la struttura con cui si sovrappongono i petali di una rosa. La sua base sono appunto i punti cardinali e le prime rappresentazioni avevano solo otto rombi,  puntavano cioè in otto direzioni; in seguito la Rosa dei Venti è stata applicata alla bussola e da allora le direzioni sono diventate 32.                                                                           Il primo documento nel quale i venti hanno un nome è l’Odissea: nel quinto libro Omero cita i venti Borea, Euro, Noto e Zefir; Aristotele ne distingueva invece 12,  cercando  di collegarne la provenienza ai riferimenti di fenomeni astronomici come solstizi ed equinozi; sempre nell’antica Grecia, la Torre dei Venti di Atene, costruita nel primo secolo a.C.., rappresentava le otto divinità dei venti: il suo fregio raffigurava in volo Boreas, vento del Nord, Kaikias da Nord-Est e Apeliotes da Est, Euros da Sud-Est e ancora Notos da Sud, Lips da Sud-Ovest, Zephyros da Ovest e Skiron da Nord-Ovest. Contiene i nomi dei venti anche il tratto Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, dove i nomi sono indicati in latino e in greco.

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