La semplice storia di una “piccola” aspirante alpinista.

La persona che mi avviò alla montagna, fu quella che più tardi avrebbe dato qualunque cosa per allontanarmene, cioè: Mia Madre!

Era giovane e robusta mia madre, nel 1920 quando una mattina si e una no, durante la villeggiatura estiva a Coazze, mi tirava giù dal letto, di buon’ora! e  dopo avermi somministrato il caffè-latte con l’uovo sbattuto, mi guidava in lunghe galoppate mattutine su per i blocchi della Val Sangone, mattutine! Perché il pasto di mezzogiorno era un rito intangibile, e perciò il raggio delle nostre escursioni non eccedeva l’ambito di quattro-cinque ore, senza ombra di informazioni, senza una guida, senza carta topografica, esplorando a turno i versanti della valle, scoprendo ogni volta la meta per l’uscita successiva e giudicavamo ad occhio, con spudorata incompetenza, l’altezza raggiunta. Un mattino, pervenuti con qualche fatica ad un pilone che si erigeva sopra un cucuzzolo sassoso e un po’ dirupato, ci guardammo attorno con fierezza e persuasi dall’asperità del luogo, convenimmo soddisfatti,  che questa volta, eravamo arrivati ai duemila metri!  Tre anni durò quel tirocinio di escursioni mattutine, poi si trascorse alla gita di un giorno intero, e mia mamma passò la mano ad una sua amica, collega di scuola: la signorina Paganone, famosa alpinista del Club Alpino Italiano,  che andava in montagna, perfino con i fratelli Ravelli, dei quali parlava con un tono di adorazione, come se parlasse della Santissima Trinità. Era una camminatrice instancabile e portava certi sacconi che avrebbero impensierito anche un artigliere di montagna, pieni di manicaretti appetitosi, torte, budini, frutta e mi pare anche un flaconcino piatto di cognac, da bere giudiziosamente, nel coperchio avvitato di latta. Anche la signorina Paganone era ospite estiva di Coazze, la tipica villeggiatura della piccola borghesia torinese, e con lei il mio terreno di gioco si estese a tutta la chiostra dei monti circostanti, varcando questa volta, l’agognata soglia dei duemila!!!

La Val Sangone

E’ notte, ci sono due maniere d’intendere e di praticare l’alpinismo, in profondità e in estensione; la prima è la maniera del montanaro, della guida, che magari per tutta la vita non esce dalla sua valle, ma di quella conosce ogni anfratto, ogni piega, ogni scalino. La seconda, è quella del turista all’inglese che trascorre da una valle all’altra a ogni gruppo, sfiorando rapidamente e spiluzzicando appena le mete più celebrate. A me, una naturale sete insaziabile di conoscenza e la circostanza di essermi un giorno stretta, in un sodalizio con un amico impareggiabile come, Alberto Poma, fornito di automobile, mi sospinsero sulla seconda strada, e le alpi intere non furono teatro sufficiente, alle mie modestissime imprese. Ma l’altro tipo di alpinismo, quello intensivo, in profondità, come lo praticano i montanari, l’ho conosciuto anch’io, in quelle tre o quattro estati a Coazze.

I laghi d’alta quota della Val Sangone


La scienza millimetrica del terreno, sapere: che dopo quella svolta il sentiero si impenna in una ripida salita e che là, invece pianeggia,  a lungo;  la conoscenza di tutte le scorciatoie, di tutte le fontane, dei ripari naturali, dei recessi segreti, dove fioriscono le stelle alpine. Muoversi in un ambiente noto nei minimi particolari, sentirsi davvero come un pesce nell’acqua, o come un albero nel bosco. Questa esperienza l’ho vissuta anch’io in quegli anni tra l’infanzia e l’adolescenza, e non è detto che ora,  da vecchi non ci ritorni.

Il Rifugio Balma in ambiente invernale
Lac Lavoir

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