Il panettone è un dolce tipico natalizio per eccellenza, nato in quel di Milano. Fa parte di quelle tradizioni che non mutano nel tempo. Hanno provato in tutti i modi a modernizzarlo con variate sfumature, al cioccolato, alla crema, al whisky, ecc, ma il panettone classico non ha mai ceduto. Infatti, sul dizionario della lingua Italiana è riportata sia la definizione che la ricetta: “Tipico dolce natalizio milanese, tradizionale in tutta Italia, dalla rigonfia sezione superiore a cupola. La sua lavorazione prevede due impasti –quello della sera, con farina, lievito, burro e zucchero; e quello del mattino, con farina, burro, zucchero, sale, tuorli d’uovo, uva sultanina e cedro candito- che vengono poi incorporati, riposti in forme cilindriche e cotti al forno”.
Ben diverso è il “panettone” per gli appassionati dello scialpinismo, ma ha qualcosa di somigliante al dolce natalizio. Sempre per via della forma a cupola, con dolci declivi, dalla sommità tondeggiante. Proprio da queste caratteristiche è un monte che esprime sicurezza, rassicura lo scialpinista. Lo si sceglie quando, dopo una copiosa nevicata, c’è l’entusiasmo e la voglia di voler uscire comunque, senza andare a rischiare su pendii troppo scoscesi dove il rischio delle valanghe è più elevato. Infatti, sul “panettone”, data la sua conformazione, è un po’ più raro che si inneschino valanghe. Proprio per questo, ci si concentra a fare delle traiettorie regolari, curando sia la tecnica in discesa, disegnando il pendio, che la traccia di salita, effettuando dei cambi di pendenza regolari e precisi. E’ anche l’occasione di godersi il panorama a 360° senza temere di finire in un dirupo. L’8 dicembre 2012, dopo un copiosa nevicata del giorno precedente, dal Capoluogo si vedeva la catena del Gran Sasso ammantata di neve. Che fare! Dopo un accordo mattutino, con tre giovanotti, future promesse dello scialpinismo nazionale, ci ritrovammo nel parterre di Fonte Cerreto, dove un folto gruppo di scialpinisti stava aspettando chi per primo facesse la “faticosa” traccia. Con grande gioia, ma con altrettanta reverenza, constatammo che erano caduti dai cinquanta ai sessanta centimetri di polvere bianca.
La radiosa giornata di sole, la forza dei tre baldi ragazzi, ci imponeva il massacrante compito di tracciare per primi. Così scegliemmo la “sicura” cresta di Valle Fredda per arrivare poi, alla vetta del “panettone” cioè, Monte Cristo. Il dislivello da coprire era di circa settecento metri, però, una volta superato il bosco iniziale, il panorama diventa straordinario, con alle spalle tutta la splendida Valle del Vasto, con sullo sfondo Monte Calvo e il Terminillo, sulla nostra destra orografica i Monti di Bagno e la catena del Sirente. Una volta usciti dal bosco si presenta la spettrale cupola del “panettone”, dove dal 1964 al 1994 hanno funzionato gli impianti per la pratica dello sci alpino. Non vi dico l’immane fatica che facemmo per conquistare l’agognata vetta -1950slm-, ma i giovanissimi furono immensi per volontà e capacità tecniche.
Giungemmo in cima un po’ stanchi ma appagati da quel panorama disarmante, con all’orizzonte, le più famose e alte vette dell’Appennino centrale, sua maestà: il Corno Grande, Pizzo Cefalone, tutta la dentellata cresta del “Centenario”, per finire, con l’immenso altopiano di Campo Imperatore, fino a scorgere la lontana Majella, ancora coperta di nubi. A questo punto, una discesa fantastica ci stava aspettando: inebriati da quel galleggiamento su quella neve polverosa, che ad inizio stagione ti dà la forza necessaria per “dimenticare” la faticosa salita appena compiuta. Giungemmo alle auto con un panettone che ci stava “aspettando”, portato appositamente per gli auguri di Natale: questa volta quello milanese.
Una meraviglia, per gli occhi e per lo “spirito”. Bello il diario della giornata