Vista dallo spazio la Terra ci appare come un piccolo pianeta che galleggia nell’universo sconfinato insieme a miliardi e miliardi di corpi celesti. E’ un immagine che per un momento ci catapulta fuori dalla nostra realtà, dalla nostra routine, e ci ricorda che noi siamo ospiti di quel pianeta: lo abitiamo. E chiunque abiti in un posto dovrebbe preservarlo, essere consapevole che ci sono delle regola da seguire se si vuole continuare a usufruirne. Lo spazio, però, è assai lontano. Da vicino, infatti, non siamo più in grado di accorgerci di quanto il nostro Pianeta stia cambiando. Dal Polo Nord all’Antartide, dalle fitte foreste alle sconfinate praterie, molte cose non sono più come prima. E parte di quel cambiamento lo abbiamo provocato noi, con il consumo e lo spreco delle energie fornite dalla stessa Terra. Gli errori compiuti nella corsa verso il progresso hanno danneggiato profondamente l’ambiente che ci ospita e mettono in pericolo la nostra stessa esistenza. Tutto ciò che esiste in natura è straordinariamente connesso, come la trama fitta di un tessuto dove ogni filo è intrecciato e annodato con maestria. Se uno di quei fili salta, si apre una crepa, una ferita che si allarga come un maglione che si sfila. La storia ci dice che prima di noi, per ben cinque volte, la vita sul nostro Pianeta è stata quasi completamente annientata in altre forme. La maggior parte dei ricercatori ritiene che l’ultima volta, 65-66 milioni di anni fa, la Terra sia stata colpita da un asteroide e che le conseguenze di quell’urto abbiano portato all’estinzione non solo dei dinosauri, ma di quasi tre quarti delle forme di vita dell’epoca. Poi l’inarrestabile macchina della vita si è rimessa in moto e siamo arrivati a noi. Adesso andiamo verso una nuova grande crisi… La temperatura della Terra e quella degli oceani si è alzata in maniera preoccupante in poco tempo, dopo che in diecimila anni era aumentata di un solo grado. Assistiamo alla scomparsa di alcuni luoghi naturali, allo scioglimento dei ghiacciai, all’inquinamento atmosferico e sappiamo che molte specie animali sono a rischio. E quando salta il delicato equilibrio tra specie animali e vegetali, le conseguenze possono essere devastanti. Parlando di crisi del Pianeta, non ci si rende conto abbastanza che non si tratta di qualcosa che riguarda i posteri, ma riguarda già noi e, in particolare, i nostri figli. E’ nel corso della loro vita che le gravi mutazioni climatiche possono avvenire. C’è una frase che anni orsono ebbe a dire Gorbacev: “Le generazioni future potranno dire che i nostri predecessori non sapevano quello che stava succedendo all’ambiente, di noi diranno che sapevamo e non ci siamo preoccupati”. Eppure i motivi per preoccuparci ci sono tutti. Pensiamo per esempio alla nostra cinta di protezione: l’atmosfera. Dobbiamo immaginarla come un sottile strato di collaphane, spesso circa 100 chilometri, che avvolge il mappamondo. Cento chilometri sono all’incirca la distanza tra Roma e L’Aquila, eppure solo nei primi dieci chilometri di questi cento c’è l’aria che ci consente di vivere, ed è lì che riversiamo tutto l’inquinamento atmosferico. Come vivere sotto un casco che produce di continuo aria malsana. L’atmosfera che protegge il Pianeta si rigenera continuamente grazie a dei polmoni naturali, per esempio gli oceani. Attraversandoli, abbiamo sconfitto la paura dell’ignoto e scoperto nuove terre. Immergendoci nei loro abissi ne abbiamo ammirato la commovente bellezza, trovandovi anche il cibo per sopravvivere . Ora, però, il nostro rapporto con quell’infinita acqua che ricopre il 71% della superficie terrestre si è alterato: basti pensare agli inquinamenti e alla spaventosa diffusione della plastica. Nell’ultimo secolo i mari hanno assorbito il 30% dell’anidride carbonica rilasciata in era post-industriale, oltre che un’importante quantità di calore. Le conseguenze non si sono fatte attendere: le acque sono sempre più calde, i mari più acidi e molti organismi marini a rischio estinzione. L’aumento della temperatura uccide i coralli, infatti una barriera corallina è molto sensibile ai cambiamenti delle condizioni ambientali che, quando compromessi, determinano uno dei disastri ecologici più gravi dei nostri tempi, e cioè lo sbiancamento dei coralli. Per fortuna , al pari degli esseri umani, la Terra dispone anche di altri polmoni. Ne ha un altro che, seppure in misura minore, contribuisce a rigenerare l’atmosfera permettendo la nostra vita. Si tratta delle grandi foreste pluviali, che si trovano nella fascia equatoriale del Pianeta. Un Paradiso primordiale, dove tutto si poggia su un equilibrio delicato e precario, frutto di un processo lungo decine di milioni di anni. E’ un capolavoro della natura unico e indispensabile per la nostra sopravvivenza. Dal momento che sono così preziose, avremmo dovuto prenderci cura delle foreste pluviali, invece la metà di esse è sparita con un ritmo che è cresciuto di anno in anno. Le cause sono molte. Un tempo gli alberi venivano abbattuti per rifornirsi del legno necessario per costruire un’abitazione e per riscaldarsi. Oggi si abbattono gli alberi soprattutto per trasformare le foreste in pascoli e terreno agricolo. In Brasile una zona sette volte più grande del Regno Unito, prima coperta dalla Foresta Amazzonica, è destinata al pascolo del bestiame e alla coltivazione di soia, che per il 70% viene utilizzata per il bestiame allevato per la carne. Una volta la pianura padana era tutta una foresta , così le romantiche brughiere inglesi. Esse sono il risultato di una spaventosa deforestazione già avvenuta nella preistoria, circa diecimila anni fa. Quindi sono i primi agricoltori, tagliando e bruciando, ad aver iniziato le deforestazioni che hanno portato alla trasformazione di intere zone. E, prima di loro i cacciatori avevano già fatto scomparire tante specie animali. Quello a cui assistiamo adesso è quindi iniziato con la nascita dell’Homo Sapiens e che, negli ultimi secoli, ha conosciuto un’accelerazione impressionante, tanto che molti studiosi delle scienze della Terra hanno proposto di individuare un nuovo periodo nella scala del tempo geologico del nostro Pianeta, da definire Antropocene. Indipendentemente dall’azione umana, la nostra Terra è un pianeta in continua evoluzione. Terremoti, eruzioni, incendi si succedono con frequenza, alterando gli equilibri climatici e il ritmo delle stagioni. Nessuno in passato pensava che il clima sulla Terra potesse cambiare in materia tanto radicale, anche se, nel corso dei millenni, alcune zone hanno modificato completamente l’aspetto. Gli studiosi sostengono che nel Sahara diecimila anni fa c’erano gli alberi, corsi d’acqua, animali tra cui giraffe ed elefanti. Oggi paradossalmente, da una parte costruiamo metropoli nel deserto (vds negli altipiani del Tibet i Cinesi stanno costruendo intere città) che necessitano di enormi quantità di energie, dall’altra sprechiamo territori preziosi desertificandoli, abbandonandoli. Certo, il clima è cambiato nel corso dei millenni. Ma non c’è bisogno di andare tanto lontano nel tempo. Soffermiamoci a pochi secoli fa, in Europa. Oggi è un fenomeno raro, ma invece in una città come Amsterdam i canali che fanno la gioia dei turisti innamorati si ghiacciavano regolarmente ogni inverno. E i pittori fiamminghi ce lo hanno raccontato in tele ricche di dettagli, dove vediamo la gente pattinare proprio nei canali ghiacciati. Se la vista dei canali di Amsterdam una volta ghiacciato può suscitare nostalgie, la condizione in cui riversano i grandi ghiacciai è un problema molto serio. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Nature Communication Earth and Ennvironment”, nel 2019 la Groenlandia ha perso un milione di tonnellate di ghiaccio al minuto. L’analisi delle immagini forniteci dal satellite “Grece” della NASA rivela che i ghiacciai sciolti e sprofondati nell’oceano riempiono ogni secondo l’equivalente di sette piscine olimpioniche. Con lo scioglimento non stiamo solo perdendo delle vere e proprie meraviglie della natura. I ghiacciai presenti sulla terraferma sono importanti riserve di acqua dolce, alimentano i grandi sistemi fluviali e aiutano a compensare il deflusso di stagione in stagione. E poi contribuiscono a evitare il riscaldamento del Pianeta: le superfici bianche dei ghiacciai, infatti, riflettono i raggi solari, mentre gli oceani li assorbono e li riscaldano. Dalla rivoluzione industriale in poi il progresso fa viaggiare il Pianeta a una velocità che non è più sostenibile. Per millenni l’umanità ha consumato meno di quello che la Terra era in grado di produrre. Oggi invece si calcola che ogni anno consumiamo più di quello che la Terra è capace di rigenerare nell’arco di dodici mesi. Più di un terzo delle risorse consumate nel Pianeta non si rinnovano, ma noi continuiamo ad attingere, alterando quell’equilibrio che ci ha accompagnato per millenni. Per molto tempo anche il degrado dell’atmosfera è rimasto quasi invisibile sottotraccia. E’ indubbiamente vero che la fetta più grossa di responsabilità è nelle mani dei politici, ma oltre alle “grandi” decisioni dei governi , ci sono anche le piccole decisioni che ciascuno di noi nel quotidiano può prendere. Certamente nessuno vuole contribuire alla distruzione dell’ambiente naturale, ma quanti di noi sono davvero consapevoli del proprio impatto sul Pianeta? Basterebbe rendersi conto di piccole cose che in realtà sono grandi. Una t-shirt, per esempio. Per produrre una, tra processi diretti e indiretti, sono necessari 3900 litri d’acqua. In una puntata di “Ulisse – Il piacere della scoperta”, per dare l’idea di quanto siano 3900 litri d’acqua hanno collocato 3900 bottiglie da un litro lungo tutta la circonferenza della pista dello Stadio dei Marmi di Roma. L’impatto visivo delle bottiglie a fronte di una sola maglietta è stato impressionante. E’ quello che i ricercatori chiamano “waterfootprint”, impronta idrica. “Si calcola cioè il totale dei litri d’acqua usati per produrre qualcosa, per portarla dal produttore al consumatore – immaginare quindi lo stoccaggio, i viaggi, le consegne in magazzino- e infine lo smaltimento finale”. La cosa che colpisce è che, pur conoscendo i rischi che si profilano, si faccia relativamente poco in confronto a quello che si potrebbe fare. Bisogna dire che he si sta prendendo sempre più coscienza della situazione in cui ci siamo cacciati. Per esempio: ci sono voluti cinquant’anni per convincere le persone che il fumo fa male. Ma un timido risultato alla fine c’è stato: molti hanno smesso di fumare. Speriamo non ci voglia altrettanto per convincerci che bisogna fare qualcosa per mettere in sicurezza il nostro futuro. Il nostro futuro e non quello del Pianeta. La Terra è indifferente alle sorti dell’uomo, continuerà come sempre la sua attività senza preoccuparsi di noi che siamo soltanto uno dei suoi ospiti. C’è dunque una ragione esistenziale alla base della salvezza, sia dal punto di vista pratico che filosofico. Al giorno d’oggi si prova sconforto e rabbia quando nelle zone particolarmente turistiche si vedono le persone scendere dalle funivie o trenini e farsi un selfie prima di guardare il paesaggio. La poca attenzione a ciò che ci circonda e ai suoi mutamenti è una delle testimonianze della mancanza di una cultura dell’ambiente. Dipende molto da noi se vogliamo continuare a godere del magnifico Pianeta che ci ospita. Un Pianeta bello da morire, che se fosse un pezzo musicale lo definiremmo: “Che Mondo Meraviglioso” come la famosa canzone di Luis Armastrong: “What a Wonderful World”.