Nelle regioni alpine e appenniniche la vegetazione sta salendo di quota “conquistando” le zone subnivali. Come è noto i ghiacciai stanno arretrando in maniera esponenziale, di conseguenza le piante stanno risalendo le vallate e i pendii, colonizzando la fascia altitudinale che finora era regno esclusivo della roccia e del ghiaccio. Stessa situazione si sta verificando un po’ in tutte le principali catene montuose del pianeta, ma in assenza di dati accertati, è difficile fare, ad oggi, una valutazione affidabile di un fenomeno che avviene in località remote, spesso di difficile accesso e globalmente poco studiate. Di fatto sta succedendo che nelle zone moreniche, non del tutto rocciose, per il momento, riescono a vivere solo muschi, licheni e erba caratteristica dei pascoli d’alta quota, ma nella parte inferiore cominciano a crescere cespugli, arbusti e alberelli nani, uno su tutti è il ginepro, considerato una pianta pioniera. Uno studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology a firma di Karen Anderson, geografa dell’Università di Exeter, ritiene che “il fattore principale sia l’attenuazione dei limiti imposti dalle basse temperature, cioè l’aumento delle medie stagionali e l’allungamento del periodo vegetativo”. La vera incognita è l’effetto che la maggior copertura vegetale avrà sul ciclo dell’acqua, che nel caso delle nostre alpi e appennini, riguarda l’approvvigionamento idrico di milioni di persone.
La speranza è che la nuova vegetazione funga da mitigatore idrologico, favorendo l’immagazzinamento nel terreno di acque che diverranno preziose in parallelo allo scioglimento dei ghiacciai, che per ora aumenta, solo in alcuni periodi dell’anno, le portate fluviali. Stime prudenti prevedono la scomparsa di un terzo della massa glaciale alpina entro una trentina di anni. Un esempio su tutti: quest’anno il Ghiacciaio Ciardoney sul Gran Paradiso ha arretrato la sua fronte di circa trenta metri, perdendo quattro metri di spessore. L’estate 2022 si è rivelata la peggiore di sempre per il corpo glaciale menzionato, con la perdita indicativamente dai quattro ai cinque cm di spessore al giorno. Anche il nostro, già agonizzante, apparato glaciale del Calderone, dopo quest’ultima rovente e prolungata stagione estiva, si avvia all’estinzione.