“…s’innoltra ne lo abisso
de l’etterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista è scisso”.
Già da tempo, a partire dal 1612, gli studiosi hanno selezionato un buon numero di vocaboli che compaiono per la prima volta nelle Opere di Dante e sono stati registrati con l’indicazione della fonte. Infatti, proprio da questo studio, gli scrittori delle epoche successive e moderne, hanno potuto riprendere più facilmente questi termini, magari “rimaneggiandoli” all’uso corrente. Per saperne di più, su questo e altri vocaboli danteschi, diventati patrimonio di tutti, si possono consultare (attraverso la Rete) i lavori che svolgono a Firenze, nella sede dell’Accademia della Crusca, i ricercatori di un Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche addetti a un’opera colossale: “Il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini” (TLIO).
Proprio partendo dal caso inoltrarsi, annotiamo che a Dante piaceva molto coniare verbi ricavati da nomi, dai pronomi, dagli avverbi, e perfino dai numerali, per esprimere concetti molto profondi e arditi.
Oggi non abbiamo quella ricchezza di ideazione che aveva il nostro Sommo Poeta.