L’anno appena trascorso è stato una ricorrenza importante per la storia alpinistica del Gran Sasso: cento anni da quando un manipolo di giovani montanari, capitanati dal Dottor Ernesto Sivitilli dettero vita al famoso gruppo “Gli Aquilotti del Gran Sasso”, i quali cambiarono radicalmente il modo di andare in montagna, dettero vita ad un’arrampicata sportiva pura e fine a se stessa, in quel di Pietracamela, paese arroccato a ridosso delle strapiombanti pareti del Corno Piccolo e del monumentale Pizzo d’Intermesoli. (…”E’ lì, adagiata sul seno del colle sta lì sul fianco del monte, una perla della montagna, incastonata nel verde la sovrasta un serto roccioso…”). Poveri di attrezzatura e di mezzi ma con una determinazione giovanile che li contraddistinse come pionieri di avventura e di sfida verso i pericoli ancora sconosciuti. La passione e l’amore per la montagna faceva di questi uomini un gruppo affiato e rispettoso verso se stessi e verso gli altri. Le loro gesta e testimonianze sono rimaste nei cuori di molti montanari, suscitando la stessa passione e il rispetto verso la montagna.
Gli Aquilotti si distinsero, non solo sulle montagne indigene ma furono protagonisti anche sulla catena alpina, realizzando coraggiose ascensioni di notevole impegno fisico e mentale.
A tale proposito vorrei ricordare la figura di Clorindo Narducci, meglio conosciuto come “Piitto”, il quale assieme a Lino D’Angelo, detto “Bill, dettero vita ad un alpinismo avventuriero, realizzando le arrampicate più sostenute sulle nostre montagne, ma soprattutto con i pochi e rudimentali strumenti dell’epoca, a cominciare dai “paponi”, come riporta “Piitto” sul suo libro dal titolo: “Un vecchio zaino di ricordi” (Andromeda ediz. 2008).«… Allora si ascendeva il monte con i “paponi”, una sorta di cioce fatte di strisce ricavate da vecchi vestiti o altri tessuti più idonei ad essere usati per altri scopi, tagliati a forma di solette per le scarpe, sovrapposti a strati e ancora rivestiti di
una pezza, per poi essere trapunti fitti fitti, fino a formare una suola alta circa un centimetro sulla quale era successivamente cucita una tomaia sempre di pezza e quindi il tutto formava una calzatura, rivestita ulteriormente con gomma di camera ď aria, merce alquanto rara, ma chi aveva la fortuna di averne, possedeva scarpe di lusso da usare per percorsi più impegnativi.
È opportuno dire che queste scarpe furono utilizzate dagli Aquilotti nei periodi estivi
su particolari salite anche di sesto grado e ancora va ricordato che probabilmente essi furono i precursori dell’uso delle “pedule” nell’alpinismo …»