Dalle calde meringhe della più comune pasticceria a quelle fredde d’alta quota. Non si può dire meringa senza pensare ad una pasticceria. Anche se nel corso degli anni sarà capitato a chiunque, frequenti le montagne d’inverno, di fermarsi a contemplare una linea di cresta sommitale incorniciata da “meringhe”. Eppure nella definizione del dizionario è così: “composto di chiara d’uovo montata a neve con zucchero a velo”. Invece in montagna le “meringhe” sono fatte di neve, come delle grandi opere d’arte, che il vento modella a seconda , sia dell’intensità, che della direzione. Là in alto le “meringhe” sono una meraviglia della natura e una delizia per gli occhi, perché di forme sinuose e perfette; lavorate con maestria e pazienza, anche con una precisione millimetrica da un “artigiano” instancabile: il vento. Rappresentano una vera e propria sfida alle leggi della fisica nella loro maniera di appendersi verso il vuoto, come mastodontiche scintillanti onde oceaniche. Nello stesso tempo sono inquietanti e pericolose. Per un alpinista, infatti, camminare su una di esse equivale a giocare con la sorte. Lo strato effimero di neve sotto i suoi piedi può cedere in qualsiasi momento, precipitando nel baratro senza alcun preavviso e portando con se il malcapitato. Magari se ne stanno lì per lunghi periodi, reggendo il peso di grandi nevicate invernali, altro che il peso piuma di un singolo alpinista, e poi, in un certo istante: fran! Nonostante le condizioni attorno siano apparentemente immutate. A volte rimaniamo esterrefatti da questa caduta improvvisa delle “meringhe” che piombano verso l’abisso e l’unico rumore che riusciamo a percepire è: fran!