La somiglianza tra il Mont Ventoux (Monte Ventoso) e il Nostro Pizzo d’Intermesoli è caratterizzata, sia dai venti impetuosi che si infrangono lungo i ripidi versanti, che dalla citazione di frasi Agostiniane. Tra le pagine letterarie minori di Francesco Petrarca ve n’è una che descrive la salita del monte “Ventoso” da lui compiuta il 26 aprile 1336. L’autore del Canzoniere descrisse in modo particolareggiato in una lettera a un padre agostiniano l’ascensione effettuata con il fratello Gherardo. Il Ventoso è una montagna alta 1912slm, nel dipartimento Valchiusa a nord-est d’Avignone, dove il padre del giovane poeta era impiegato al seguito della corte papale (in Avignone dal 1309 al 1377). Ancora oggi costituisce una delle più belle escursioni di tutta la Provenza e dalla sua cima la vista spazia da Marsiglia alle Alpi, alle Cèvennes, ai
Pirenei. Tanto che vi è stato costruito un osservatorio meteorologico sulla cui facciata una lapide ricorda l’impresa del Petrarca. E’ una montagna che ha sempre attirato gli studiosi di botanica perché vi si trovano le più svariate specie di fiori e di alberi (es. il papavero di Groenlandia o la sassifraga del Spitzbergen). Nel 1400 vi fu eretta una cappella dedicata alla Santa Croce, dove il vescovo di Carpentras, Pierre de Valetariis, fece custodire da un eremita un frammento della vera Croce che attirò per secoli molti pellegrini. Sulla sua cima il vento è di frequente turbinoso e violento, come del resto sul nostro Intermesoli, e la temperatura invernale può scendere anche a -27° con presenza di neve per diversi mesi dell’anno. Nelle sue viscere e sotto l’altopiano di Valchiusa scorre inoltre un misterioso fiume sotterraneo che emerge a Fontaine de Vaucluse in uno spettacolare scenario. In corrispondenza di un grande emiciclo di rocce a picco sgorga prepotente da una grotta naturale l’acqua della Sorgue de Vaucluse. Quando la portata dell’enorme getto supera i 22 metri cubi al secondo si assiste ad un fenomeno entusiasmante perché l’acqua assume una tonalità di verde più intenso e deborda tumultuosa sulle rocce. Qui sicuramente Petrarca veniva spesso quando era ospite dell’amico Philippe de Cabassol, vescovo della vicina Cavaillon, e forse qui ha concepito le sue opere e, chissà, forse anche il famoso verso “chiare e fresche dolci acque”. Petrarca scrisse in lingua latina la lettera che poi fu tradotta da un altro nostro poeta, primo premio Nobel Italiano, per la letteratura, Giosuè Carducci, grande studioso e ammiratore del Petrarca. La lettera è ricca di allegorie e di riferimenti storici, letterari e religiosi.
Programmata l’escursione per il 26 aprile per avere molte ore di luce e clima favorevole, i fratelli arrivarono a Malaucena, alla base del monte, con due giorni di anticipo. “Non ci mancava ne’ la buona volontà né la
vigoria fisica, ma”, annota il poeta “quella gran mole di roccia era davvero scoscesa e quasi inaccessibile”. In un infratto del monte incontrarono un vecchio pastore che cercò di dissuaderli dall’impresa dicendo loro che cinquant’anni prima “provai la giovanil fantasia” di salire, ma “non ne riportai che pentimento e stanchezza”. Non riuscendo a farli desistere, il vecchio indicò loro il percorso da seguire e si prestò a custodire gli indumenti e i materiali che ingombravano inutilmente i due giovani alpinisti e il loro seguito.
Dopo un primo tratto percorso con lena e agilità, si dovettero fermare a riposare sul ciglio di una rupe. Il fratello salì poi lungo la linea di massima pendenza seguendo una ripida scorciatoia, mentre il poeta si aggirò a lungo in cerca di una strada meno faticosa, ma inutilmente. Anzi, essendo questo un pretesto per la pigrizia, come egli stesso confessa, il girovagare lo portò per ben tre volte molto più in basso, allungando così il percorso e la fatica. Finalmente si decise a salire lungo l’erta e ansante, raggiunse il fratello che nel frattempo si era riposato a lungo. Quando giunse sul pianoro della cima più alta denominata Figliolo, il poeta si commosse e stette come trasognato per “lo spirar leggero dell’aere e del vasto e libero spettacolo”. Si commosse anche guardando verso le Alpi Marittime e l’Italia. “Sospirai, lo confesso, verso il cielo d’Italia, che all’animo, più che agli occhi appariva; e in’ineffabile ardore mi pervase di riveder la Patria”. Guardando le Alpi, Petrarca ricorda anche che Annibale, quando attraversò, allo scopo di creare dei gradini o dei piccoli varchi sulle rocce le faceva surriscaldare col fuoco e poi vi faceva versare l’aceto, come narra Tito Livio. Come spesso accade agli alpinisti che approfittano del raccoglimento della montagna per fare un bilancio della propria vita, anche Petrarca fece allora un bilancio dei dieci anni trascorsi in Francia dopo aver lasciato gli studi giovanili e Bologna. E il suo pensiero si rivolse a Dio con una fervida preghiera con le Parole di Sant’Agostino del quale aveva con se il libro delle Confessioni. Lo aprì casualmente e gli occhi caddero sul passo dove diceva: “e gli uomini vanno ad ammirare le altezze dei monti, gli enormi flutti del mare….. e abbandonano se stessi”. Parole che indussero il poeta a pentirsi di aver ammirato troppo le cose terrene, “quando da un pezzo avrei dovuto imparare anche dai filosofi pagani che niente è degno di
ammirazione fuorchè l’anima”. Durante la discesa continuò nelle sue considerazioni morali e in alcune riflessioni ascetiche che gli fornirono l’occasione di citare un famoso passo di Virgilio, senza peraltro nominarlo: “Felix qui potuit rerum cognoscere causas” (felice chi ha potuto conoscere il perché delle cose). La sera stessa Petrarca scrisse la lettera al frate Dionisio di San Sepolcro. La salita al Ventoux è la prima, modesta ed esaltante allo stesso tempo, prova di alpinismo turistico-escursionistico di cui si abbia notizia. Lo stesso Petrarca narra dell’ascensione fatta dal re di Macedonia Filippo V sul monte Emo in Tessaglia, assieme ad alcuni generali, allo scopo di poter vedere i due mari: il Mar Nero (Eussino) e l’Adriatico.
L’ascensione, confermata da Pomponio Mela e messa in dubbio da Tito Livio, non può in ogni caso essere catalogata come escursione turistica se si tiene conto delle mire espansionistiche del monarca. Numerosi autori affermano che non si conosce nessun altro che prima del Petrarca sia salito su un altro monte solo per “multa vivendi ardor ac studium” (per la brama e il gusto di vedere molte cose), come si esprimerà lo stesso poeta parlando dei suoi viaggi sui Pirenei, in Francia e in Germania. Non solo, ma è il primo brano letterario che tratti compiutamente e analiticamente un argomento strettamente connesso con la montagna. “Multa vivendi ardor ac studium” sono parole magiche che fanno muovere milioni di persone, vuoi per esplorare le foreste e le montagne, vuoi per ammirare le opere d’arte realizzate nei secoli dall’uomo; comunque per conoscere. Il Monte Ventoso, che è a un tempo testimone della prima ascensione turistico-alpinistica e della prima pagina alpinistica-letteraria della storia, è un emblema che
meriterebbe di essere adottato dai club alpini.