Campanile è sinonimo di chiese dove alloggiano le campane. Non è sempre così; nel nostro caso sono quei pinnacoli di roccia, mediante processi geomorfologici, modellati dal vento, dal ghiaccio e dalla neve.
Un tempo, quando ancora non c’erano i motori elettrici per far suonare le campane, si saliva sul campanile, attraverso una scala a chiocciola, e, con l’ausilio di una fune di pochi centimetri, si azionava il battacchio per dar “voce” al bronzeo strumento. A Fossa, nelle feste più importanti, c’era una vera e propria squadra di campanari specializzati per tale operazione. Ricordo l’immagine di un uomo possente, statuario nel portamento che era quasi sempre il trascinatore di questa iniziativa: Berardino Coletti, il quale, salito sul campanile, diventava una vera e propria “macchina da guerra” nel momento in cui prendeva il “comando” delle operazioni. Da lì a poco si poteva ascoltare l’armonioso concerto campanaro fino alle più lontane campagne dall’abitato.
Tornando a quel che ci riguarda: i campanili o pinnacoli, sono attraenti, vanesi, piacciono agli alpinisti per il loro egocentrismo. Infatti vi sono due possibilità: quella di guardarli per sempre da lontano, altrimenti, se vuoi salirci in cima, bisogna sapere arrampicare, oppure “volare”. A volte, i campanili, sono depositari di storie di alpinismo, di scalate, di uomini. Racchiudono tra le loro rocce leggende, amori, paure, atti di eroismo e avventatezze; come ad esempio il nostro più famoso Campanile intitolato a Livia Garbrecht, la cui storia è commovente e straziante (proprio quest’anno il giorno 13 settembre c’è stata una rievocazione storica). Se poi vogliamo svelare un altro segreto di un campanile, ci riferiamo a quello di Val Montanaia dove, nel 1906, è avvenuta la prima discesa in corda doppia della storia dell’alpinismo.