Estratto dal racconto di Leonida Bissolati “IL Gran Sasso d’Italia nella Tormenta”. La tragedia di Giusti, Gommi e Castrati
….”Ma il periodo delle più belle e più “vere” ascensioni alpinistiche sul Gran Sasso è l’inverno. Dal dicembre all’aprile il colosso è avvolto in un manto glaciale. Immensa quantità di neve si raccoglie sulle creste e sugli altipiani del monte che si erge tutto candido sotto l’azzurrino cielo meridionale. Ma spesso quel cielo si abbuia, nell’inverno, per improvvise tempeste. Sono gli squilibri tra i due bacini atmosferici dell’Adriatico e del Tirreno che tendono a eliminarsi con gigantesche oscillazioni, le quali urtano contro l’enorme bastione nevato, suscitandovi tormente di tal violenza da superare la violenza delle tormente alpine. Lo sapesti tu che cosa siano codeste furie di cielo, povero amico Gommi, che nell’inverno del 1903 mi invitavi alla scalata del Corno Grande. Non ricordo quale impegno parlamentare mi impedì di accogliere, come desideravo, l’invito. Quel giorno, forse, le ire piccole della “montagna” politica mi salvarono dalla grande collera della grande montagna. Il povero Gommi, figlio generoso e gentile di Romagna, soggiacque alla tempesta, e con lui morirono due montanari aquilani: Giusti e Castrati. Erano partiti da Assergi salutati dal sole, e arrivarono al Vecchio Rifugio (Garibaldi), già sepolto dalla neve. Vi penetrarono: l’indomani avrebbero dato l’assalto al Corno Grande. Ma il domani sorse colla tormenta e li tenne prigionieri. Attesero quel giorno (così fu per via di indizii ricostruita la tragedia) e parte dell’altro: non però cessava la tormenta e i viveri mancavano. Decisero il ritorno: e sarebbero forse scampati se, più pratici dè luoghi, fossero discesi dalla parte di Teramo, per uno sbocco più in basso del piano su cui si trova il Rifugio. Tentarono, invece, di rifare la via dond’erano venuti, risalendo all’alto passo di Portella (m 2400), un pertugio nella cresta dove l’impeto del vento si raduna e si centuplica. Ivi, a poca distanza dal passo oltre il quale era la salvezza, furono schiacciati più che asfissiati contro il pendio di ghiaccio. Soltanto due giorni dopo, la carovana di soccorso venuta da Assergi –nella quale era il padre di uno dei portatori- si affacciò al passo e vide i tre corpi immobili. Fra essi giacevano, vittime della stessa tormenta, alcuni corvi che avevano seguito i tre disgraziati pregustando forse le gioie del funebre pasto…” .