Il Mulino Cappelli, San Martino
Insediamenti minori ed attività pastorali nel versante meridionale del Gran Sasso. Si tratta di un organismo spaziale complesso probabilmente formatosi sugli elementi residuali dell’antico castello di Chiarino: l’edificio identificato come Mulino e che in realtà presenta condotti di adduzione e di fuoriuscita per l’acqua del vicino torrente è difficilmente ricostruibile nelle articolazioni funzionali. Le alte quote e la presenza di vaste superfici boscose potrebbero far escludere la presenza del mulino per granaglie ove non si consideri che il solo fabbisogno di pane per i numerosi dipendenti delle masserie in un regime di gestione autosufficiente quale doveva essere quello del sistema Cappelli poteva rendere significativo un tale impianto.
Il pignone della ruota del mulino
Il canale di adduzione
Il Villaggio degli Arcari
L’edificio con una originale torre esagonale provvista di feritoia è databile nel suo complesso dalla fine del sec. XVIII ai primi del XIX, presenta qualità architettoniche del tutto originali (i marcapiani, gli stipiti, il portale) pur non nel recupero di elementi derivanti da precedenti costruzioni. Questa qualità architettonica, la presenza del condotto di adduzione dell’acqua fanno pensare comunque ad un vero e proprio opificio per la trasformazione in sito dei prodotti della pastorizia e della zootecnia in una gestione prevalentemente autarchica.
(Esempio: attraverso la lavorazione/spremitura dei semi di faggio si ricavava l’olio combustibile per le lampade ad olio). (Lampade ad olio. Una comune lucernina a mano, di ottone verde nero incrostato di ossido; un oggetto più facile, discreto e intimo che si fosse potuto immaginare. Il manico (due pezzi congiunti da un anello anodato, terminava ad arpione, gancio e punteruolo così che si poteva o appendere verticalmente o infilarsi nelle fessure orizzontalmente. Dallo snodo del manico pendevano, ciondolando come monili, la molletta e il coperchietto, necessario corredo per tirare avanti lo stoppino, scaccolarlo se l’olio conteneva morchia, spegnerlo. La fiamma, quando ardeva, produceva un alone di luce rossastra nel gran nero della cucina, e dentro l’alone bisognava tenere persone e cose se volevano essere viste. Tutto ciò ch’era oltre rimaneva in penombra o al buio. Girando per la casa quindi bisognava portare il lume avanti a sé, a braccio teso, un po’ al di sopra degli occhi. Per chi aveva la fortuna di possedere due lumi, si accendevano solo nelle grandi occasioni; erano uno spreco; ed il capo di casa, si affrettava a spegnerne uno appena non fosse stato necessario. Le lumiere di tre o quattro becchi si vedevano solo nelle case dei signori, nei paesi più grandi e nelle città, corredo più ricco di ciondolini, ma anche qui le fiamme solo raramente si accendevano tutte perché di sera non si usava leggere o lavorar di minuto. Il lume era anche l’espressione della quiete, raccolto, umile, buono, onesto, devoto e fiducioso che apparentemente, nelle case dei contadini e dei pastori, dava tanta serenità. Solo la notte di Natale si mettevano questi lumi alle finestre a tutta fiamma, aspettando la mezzanotte).
La discreta cappelletta di San Martino e l’imperiosa cresta del Corvo.
La Cappelletta di San Martino al Mulino Cappelli
Il percorso fluviale del Torrente del Chiarino
La Madonna del Buon Cammino
Dopo aver rimosso il pericarpo che è velenoso, le faggiole potevano essere usate tostate e macinate come il caffè, o arrostite come le caldarroste. Inoltre l’olio poteva essere usato anche in cucina come sostituto di quello di oliva. Che cos’era la miseria… (M.Nanni P.L. Properzi)
(Dal prezioso volume “CHIARINO“ di A. Clementi e B. Osella)
Il Rifugio Fioretti
Il Villaggio degli Arcari al Chiarino attraverso il “Selciato” …
I Naturali che da tempo immemorabile avevano avviato una fiorente e redditizia attività di lavorazione del legno che tonificava l’economia del villaggio. Nella relazione annuale che il segretario della Camera di Commercio Aquilana era obbligato ad inviare al governo, relativamente all’anno 1876 si legge: “col faggio si fanno seggiole, tavolinetti banchi a schiena ed arche diverse e coloro che se ne occupano son detti “Arcari” ”.
Questi oggetti di molto poco costo, solidi a tutto legno, fino nei chiodi sono di uso estesissimo in provincia tra le classi meno agiate e povere; mentre le arche per riporvi cereali e civaie si trovano ancora nelle famiglie di ogni ceto e condizione. Sono del faggio il più gentile, costruite con tanta precisione da potervi ammassare anche il pane e le tavole son tirate tutte a spacco senza adoperarvi la sega.
(Dal prezioso volume “Chiarino” di A. Clementi e B. Osella).
La Cascata di Solagne
La Cascata di Solagne e il Lago di Campotosto
Il “Selciato” del Chiarino, dalla posizione vicina al Villaggio degli Arcari si evince una ipotetica riserva idrica, sia dal punto di vista alimentare che quella per immergervi i legni di faggio per poi renderli duttili per la lavorazione. Infatti quando si raccoglieva il legno di faggio alle pendici del monte Corvo, nella stagione estiva, prima si usava appoggiare le tavole ancora verdi sulle carbonaie del Chiarino per lasciarle essiccare così il fumo delle carbonaie consentiva di colorare in modo naturale e biologico il legno, poi avveniva il passaggio in acqua per rendere il legno flessibile affinché, attraverso le complesse legature con lo spago, si riusciva a modellare il legno per la successiva costruzione della struttura di un’arca. Una tecnica che ha rappresentato la caratteristica unica delle arche di Arischia non riproducibili altrove, nonostante i numerosi tentavi di “plagio”.
Il Selciato del Chiarino
Il Selciato del Chiarino
Il Selciato del Chiarino