Il Canalone di Fonte Rionne», è ubicato nella carta dell’l.G.M. (F. 140, III. NE) fra 1″12’50” – 1° 13’30” long. E e 42° 25’50” – 42°26’20” lat.N.
Domenico Alessandri, Alessandro Clementi e Paolo Boccabella
da: BOLLETTINO CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DELL’AQUILA giugno 1981
Esso consta di:
a) un tratto inferiore orientato S-N che va da quota 1670 a q. 1950, il cui sbocco, entro Campo Imperatore, attraversa antichi coni di deiezione ed enormi cumuli di detriti di falda del Pliocene tra i quali affiorano caratteristici lembi residui di «brecce». L’acqua limpida e fresca che scorre perenne nella parte alta (Fonte Rionnè) , le numerose «marmitte» (vasche) da essa scavate ed il lussureggiante anche se limitatissimo verde che le incornicia fanno di questo angolino, specie nelle più torride giornate estive, una vera oasi. b) un tratto superiore, orientato W-E, da q.1950 fino sotto la vetta del Monte Infornace, che si biforca, a Y a quota 2160 e che è costituito di calcari dolomitici e dolomia del Liàs. Tali rocce hanno subìto in seguito al movimento tettonico, un profondo processo di «milonitizzazione» sia per la loro particolare fragilità, sia per il fatto di essere situate proprio nel nucleo, dove gli effetti meccanici sono più intensi, della grande piega che ha originato la catena del Gran Sasso. Tale fenomeno giustifica anche la presenza dei numerosi campanili e guglie, dalle foggie e dimensioni più varie, che conferiscono a questa montagna il suo caratteristico aspetto. Il nevaio permanente, situato nel fondo del canalone, interessa, anche se in modo discontinuo, quasi tutto il tratto superiore di esso, da q. 1970 a q. 2290, per una lunghezza complessiva di circa 550 mt. e un’area di c. 1,3 ha. La sua larghezza, che raggiunge un max di circa 40 mt., si riduce, in brevissimi tratti, ad un’esile crestina affilata «a schiena· di asino». Lo spessore, anch’esso molto vario, ma mai molto elevato – max di c. 15 m. (tali misure sorto relative ad ottobre che è il periodo di maggiore «magra») – determina una notevole variabilità della pendenza che risente in modo sensibile ed evidente le variazioni di pendenza del fondo.
La sua percorribilità varia in una maniera sostanziale con l’avanzare della stagione: da facile, con uso di piccozza e ramponi, durante la prima estate, diventa sempre più difficile e addirittura non percorribile integralmente in autunno a causa dell’affioramento di due salti rocciosi: ⁃ il primo a q. 2050, di c. 40 m., caratterizzato da tipiche cascatelle e vasche d’acqua, è facilmente aggirabile a sinistra per facili rocce di 2° gr., il secondo a q. 2230, circa a metà del ramo destro (sinistro orogr.) della Y, è un salto verticale di 6-7 m. di roccia friabile, levigata e bagnata; esso si può aggirare superando sulla parete sinistra un caratteristico ed evidente camino di è. 30 m. che presenta difficoltà di 4° grado.
Se si vuole evitare tutto ciò si deve ridiscendere alla biforcazione della Y a q. 2160, risalire lungo il ramo sinistro (destro orogr.) che già da metà estate è asciutto, aggirare il caratteristico campanile con parete gialla di c. 100 m. strapiombante a W e quindi per facili pendii, traversando verso destra, raggiungere a q. 2300 c. l’estremità superiore del nevaio. Le cause che giustificano la presenza di questo nevaio a tale quota non sono di evidenza immediata: su un versante meridionale, con un bacino di raccolta esiguo (costituito quasi esclusivamente dell’area del canalone), con una natura del suolo estremamente arida ed articolatissima che esclude la possibilità di caduta di valanghe consistenti, l’unico motivo adducibile è l’orientamento ad W del canalone e l’alta, anche se frastagliata, cresta che lo protegge a S dal sole consentendone l’irraggiamento diretto solo nelle ultime ore del giorno e durante la sola estate. Il nevaio dà origine ad un ruscello che, affiorando solo nei tratti in cui il fondo del canalone non è coperto da detriti, va ad alimentare, dopo breve corso, la sorgente di Fonte Rionne.
L’esplorazione
lnfornace: alba e fine del mondo
Paesaggio da alba del mondo o da finisterrae a seconda che, come in immagini oniriche e surreali si presentino, all’improvviso, mentre sali per una forra calcinata ardite guglie da mondo in formazione · (mani levate ad invocare non si sa bene cosa), ovvero la devastazione di rocce crollate, sgretolate, sbriciolate, tutto seguitando inesorabilmente a precipitare a valle per formare quegli immensi fiumi di pietre che maestosi di distruzione solcano il giallo della piana di Campo Imperatore. Patetiche, a tratti, zolle erbose sopravvissute a tanto sfacelo, ricche, tuttavia e fuori tempo, di campanule; genziane, arniche. Parliamo dell’Infornace. Nome infernale. Paesaggio anche. Siamo fuori dall’idillio della cartolina di montagna.
Facies geografica da iniziati. La pioggia salda i detriti ·che ingobbiscono in mammelloni insidiosi. Gli Appennini qui non si sforzano di somigliare alle Alpi. Sono se stessi: aridi, scorbutici, lunari, calcinati a tratti, vocati in ogni modo al deserto come per una missione di povertà.
È qui che si trova un nevaio perenne: quello appunto ad ipsilon dell’Infornace. Tutto esposto a sud, quasi a sfidare il sole di un Mediterraneo che intuiamo lontano, ma dalle aridità uguali, di uguali salsedini infeconde intendiamo dire. Sì, perché a tratti sembra un paesaggio di sale quello dell’Infornace. Ti respinge e ti attrae. Per coglierne il senso (perché un senso indubbiamente lo ha per la storia degli uomini che lo disboscarono e in una certa misura lo martoriarono), per coglierne il senso, si diceva, bisogna aver consumato tutti i paesaggi che si somigliano, per somigliare tutti insieme all’ovvio del «bellissimo»: l’Alpe maestosa di rocce compatte, poi i prati alti pettinatissimi e in basso il verde smeraldo cupo dei boschi. Niente di tutto questo all’Infornace. Si parte da una piana castigliana (non per nulla a Campo Imperatore anche le pecore, le gentili di Puglia, discendono dalle merinos; un ricordo ancora di Castiglia: sempre a Campo Imperatore, forse ottobre, un cielo scuro, un nevischio vorticoso si abbatte sull’Infornace. Un gregge di «merinos» a corsa sostenuta e un pastore che cerca di radunarne le fila. Ci avviciniamo. È alto e magrissimo. Il volto è terreo di freddo e di solitudine, cupo di ricordi, devastato di solchi. Parla uno strano italiano che sa di spagnolo. È castigliano. La sua vita: guerra di Spagna combattuta contro Franco. L’esilio in Marocco e poi si arruola nell’esercito degli Alleati. Quinta Armata. Viene in Italia. Si sposa e fa il pastore come lo aveva fatto in Castiglia. Questo personaggio uscito da un libro di Hemingway, manco a dirlo pascola un gregge del «mercante» Lopez). Dopo la pianura «castigliana», senza mediazione di boschi o di prati pettinati, lo impatto con le rocce scrostate. Appena venature di zolle e bianco di calce. Il vallone che risaliamo ha le briglie in cemento che invano contendono il passo alla violenza delle acque. Anch’esse travolte. Il vallone s’impenna e all’improvviso si restringe e mostra la prima neve. È autunno. Impenna ancora. Occorrono i ramponi. A tratti la neve diviene una lama inserita tra due pareti strettissime. Bisogna arcuare le gambe per far aderire i ramponi. Mimì Alessandri fa scuola. Abbiamo già iniziato la misurazione: una, due, tre tese prima dell’impennata verticale. C’è da usare le due zanne frontali dei ramponi. Sopravviene la «pasima» dello equilibrio instabile. Poi, superati due tratti come spalti a difesa, la pendenza si fa più dolce, Misuriamo con l’occhio la lunghezza del piano inclinato. C’è da campar di rendita per un bel po’. La graduazione delle difficoltà (ricordo cartesiano) mi consola. Echi di ammonimenti: diluire la complessità globale insuperabile in una serie di piccole difficoltà ben più superabili. Letteratura. Dopo il pianoro l’impatto con una parete liscia, dilavata e lo sfasciume laterale. Mimì Alessandri riflette: Attendo il responso. Non c’è da fare; bisogna ridiscendere e superare il balzo di fianco ma, prendendolo molto più in basso. A meno che … In effetti sul fianco sinistro si intravede un camino. Ci togliamo i ramponi. Il camino è gelido e cupo, pieno di piume di corvi con le pareti cosparse di guano. Mimì Alessandri supera il primo balzo a contrasto su una roccia tutta sbriciolata che miracolosamente non precipita. Sembra che non abbia peso e vola sulla roccia: spettacolo nello spettacolo. Io viceversa mi sento pesantissimo, goffo, e mi si impasta la bocca di paura. Mimì Alessandri mi attrezza una corda a cappi e supero anch’io. Il camino si chiude in tutti i lati e diviene come un tunnel verticale. Refoli di vento gelido fischiano. La penombra incupisce. Altre due bracciate e siamo fuori al sole vivido e consolatore. Sotto di noi a pochi metri l’ultima lingua del nevaio che muore verso la cresta confondendosi con il bianco sporco dei sassi, delle brecce, della calce.
L’itinerario
Per raggiungere la base del canalone dove si estende il nevaio permanente di Fonte Rionne descritto dai due articoli che precedono (1), percorrere, dopo aver lasciato il proprio automezzo, la pista che ha inizio al Km. 42,100 della S.S. 17 bis a q. 1600 c. e che attraversa Campo Imperatore dirigendosi verso Nord. Dopo un brevissimo tratto, trascurare la pista ché si dirama sulla destra (senso di marcia) e che porta ad un primo ricovero. Continuare invece su quella principale che, dopo aver compiuto un arco ed attraversata l’ampia falda detritica di Rionne, arriva ad una biforcazione. Abbandonare il ramo che va verso Ovest ad un altro ricovero (ricovero di M. Faeto) e puntare dritto a Nord ad un terzo ricovero detto di Rionne (m 1700 c.) che si ha di fronte, non lontano dal canalone che bisogna risalire, h. 0,30. Dal ricovero di Rionne ha inizio un sentiero che aggira verso Est le ultime pendici di M. Faeto (2) ed entra nel canalone del nevaio. Dopo un centinaio di metri s’incontrano i resti della «Capanna Recapito M.d’O.V.M. Bafile» (m 1706) ricavata dal ricovero costruito nel 1923 per i lavori di captazione delle acque di Fonte Rionne. La Sezione dell’Aquila del C.A.I. si rese ben presto conto di come tale ricovero potesse essere un’ottima base per escursioni estive ed invernali nel gruppo Prena-Camicia. Ne ottenne la cessione, lo restaurò e l’attrezzò come rifugio a partire dal 1928 e successivamente il 29 luglio 1929, come si legge nel Bollettino Mensile della Sezione dell’Aquila, avvenne la solenne inaugurazione e la intitolazione alla Medaglia d’Oro Valor Militare Andrea Bafile. Parteciparono numerose comitive pervenute – a piedi – da molte località dell’Aquilano e persino da Isola del Gran Sasso. Presenti il fratello dell’Eroe, avvocato Ubaldo Bafile, Preside della Provincia, altre autorità ed il progettista dell’acquedotto ing. Giovanni A. Taranta. Officiò Mons. Giuseppe Equizi (foto all.). Tra i presenti c’era anche il fratello più piccolo della M.O.V.M., cioè Corradino Bafile, ultimo di 12 figli che in seguito diventerà Cardinale presso la Santa Sede, ad oggi considerato il Cardinale più longevo della storia, morto il 3 febbraio 2005 alla veneranda età di 101 anni, 6 mesi e 29 giorni. Questa realizzazione non ebbe però molta fortuna: la Capanna non custodita, veniva sistematicamente saccheggiata di tutto quanto conteneva; ogni sforzo per riattrezzarla era di breve effetto, essa è andata distrutta durante l’ultima guerra e precisamente nel 1943. Oggi ne rimane solo il basamento.
Ma torniamo al nostro itinerario. Si segue dunque il sentiero che dal ricovero di Rionne entra nel canalone e lo risale sul lato destro (orografico) fino alla presa dell’acquedotto (m 1883), h. 0,45-1,15. Il sentiero prosegue ancora per breve tratto poi termina e ci s’incomincia ad arrampicare per facile roccia incontrando ben presto il fronte del nevaio alla quota approssimativa di m 1970 (5), h. 0,15-1,30. A questo punto inizia la risalita vera e propria del nevaio che ci porta fin sotto la vetta di M. Infornace (6),; h. 2/3, – 3,30/4,30 c. (non è possibile indicare con precisione il tempo di percorrenza essendo molto variabile secondo le condizioni del nevaio). Giunti in cresta, seguendo la segnaletica del «Sentiero del Centenario» (7) è possibile eventualmente raggiungere tutte le cime della dorsale: Torri di Càsanova, Brancastello (a Ovest), Prena e Camicia (a Est).
Carlo Tobia
(1) – Ricerche bibliografiche successivamente svolte ci hanno portato a ritenere che la prima notizia del nevaio del canalone di Fonte Rionne sia stata quella fornita dell’ing. Giovanni A. Taranta il quale, avendo avuto l’incarico di costruire un acquedotto che utilizzasse le acque di Fonte Rionne per i comuni consorziati di S. Stefano, Castelvecchio Calvisio e Carapelle Calvisio, fin dal 1914 iniziò una serie di sopralluoghi e di inchieste tra i pastori della zona per accertare la natura e le caratteristiche della sorgente. Nelle relazioni allegate al «Progetto di massima per un Acquedotto da Fonte Rionne», L’Aquila, 1921 ed al « Progetto esecutivo“, L’Aquila, 1923, dopo aver descritto «le accidentate creste – veramente pittoresche a vedersi – del Monte Fornaca (sulla carta dell’I.G.M. segnato erroneamente lnfornace) m 2311 s.l.m.» ed i «burroni orridi e scoscesi che scendono a precipizio dal fianco di una delle montagne più aspre non solo del nostro Abruzzo ma di tutto l’Appennino», al pa, 9 del «Progetto di massima» afferma che « Essa – la sorgente Rionne – è quasi di sicuro alimentata dai nevai perenni che si annidano nei crepacci della frastagliatissima cresta di Monte Fornaca. L’acqua scorre sulla viva roccia, sul fondo di due burroni convergenti e, giunta a valle scompare sotto il grossolano detrito calcareo che copre il piede del monte». E più sotto: «la sorgente appare alimentata dai sovrastanti nevai perenni; e perenne, a detta delle persone cognite dei luoghi, è il suo deflusso». Venendo a parlare poi delle caratteristiche della sorgente, a pag. 5 della relazione al «Progetto esecutivo» dice: «la portata (…) è di due litri al minuto secondo anche nei periodi di massima ed eccezionale siccità» (…) «La decrescenza a gradiente accentuato si incomincia a verificare entro il mese di agosto e tocca il minimo verso la fine di tale mese» (…) «la portata normale minima su cui si può contare, salvo brevissimi periodi eccezionali, è di 4 litri al minuto secondo». A pag. 6 in fine riferisce: «È stato accertato. che anche nei periodi più rigidi dell’inverno non si arresta il deflusso delle acque che prosegue perenne sotto le nevi». (Il progetto dell’ing. Taranta è stato messo a nostra disposizione dal Sindaco di S. Stefano ing. Leone Diamante, che qui ringraziamo). (2) – Il toponimo «Faeto» ( =faggetto) conferma la presenza nel passato della vegetazione arborea nella zona già accertata da molti studiosi. (3) – A. Clementi – C. Bafile, / cento anni della Sezione in «Omaggio al Gran Sasso », C.AI. L’Aquila, 1975, pp. 47-48. (4) – Bollettino mensile, anno VI, n. 63, 1 agosto 1929, p. 4. (5) – Si tenga presente che nella ricognizione del 4 ottobre 1980, alla quale fa riferimento l’articolo, la parte terminale del nevaio, rispetto ad una precedente ricognizione dell’11 settembre, dopo circa un mese di bel tempo, si era ritirata di appena 20 mt. (6) – Sulla ubicazione precisa della vetta di M. Infornace sia le indicazioni cartografiche che quelle fornite dalle varie edizioni della guida del «Gran Sasso d’Italia » di C. Landi · Vittori e S. Pietrostefani sono piuttosto discordanti. La carta al 50000 dell’I. G. M. (F. 140, III – rilievo 1875, aggiornamenti 1894) indica la quota 2311 come la vetta di M. lnfornace che colloca alla sommità dello sperone che delimita ad O il canalone di Fonte Rionne. Sia la carta del Fritzsche del 1887 che quella del T.C.L del 1935 non si discostano di molto da quella dell’I.G.M.. Nella lª edizione (1943) della guida citata, a p. 134, si riporta per M. Infornace la stessa quota 2311 senza fornire peraltro una precisa descrizione topografica.
La 2ª edizione (1962) invece indica come cima la quota 2364 dicendoci che essa «si presenta con scarsa individualità» e che « È situata in corrispondenza del crestone che verso S scende sul M. Faeto e forma un insieme di torrioni e pinnacoli» (…) «Nel vallone che si apre a S della vetta sgorga a m 1879 la Fonte Rionne…» (p. 202). Nel 1956 è pronta la nuova carta dell’I.G.M. alla scala 1:25000 e realizzata con la rilevazione aereofotogrammetrica, quindi molto più fedele della precedente. Ma in tale carta (F. 140, III NE), pur essendo stata quotata tutta la frastagliata ed articolatissima cresta da Vado del Piaverano a M. Prena, non viene più attribuito ad alcuna quota il toponimo di Monte Infornace.
Nella 3ª edizione della guida (1972), con un ulteriore cambiamento, si indica la quota 2362 come la cima di M. lnfornace che viene così localizzata: «È situata nel punto d’incontro della cresta Brancastello-Prena con il costolone che verso N scende sul Cimane di Santa Colomba» (p. 232). La «Carta dei sentieri del Gran Sasso d’Italia» edita dalla Sezione aquilana del C.AI. segue tale indicazione. Ora sia la quota che la localizzazione ci inducono a ritenere che qui ci si riferisca piuttosto ai torrioni rocciosi di q. 2362 che si elevano improvvisamente dopo la uniforme cresta che inizia dal Vado del Piaverano e che circa una decina di anni fa furono battezzati dalla Sezione di Penne del C.A.I. «Torri di Casanova». Dalle osservazioni che precedono si può constatare quanta incertezza vi sia su tale questione. Una soluzione, che ci permettiamo di sottoporre all’attenzione degli esperti e dei responsabili, potrebbe essere quella di attenersi all’elementare principio per cui la vetta di un monte è sempre il punto di maggiore elevazione a condizione che presenti una possibilità di certa individuazione, come il caso di M. Infornace, montagna che, tra l’altro, possiede una sua evidente individualità. Pertanto proponiamo di indicare nelle carte topografiche come vetta di M. Infornace la q. 2469.
SPORCARE I NEVAI SIGNIFICA DISTRUGGERLI: RISPETTATELI.