Il rispetto della Montagna. La prima volta sulla Gran Becca 4478slm: la Montagna delle Montagne

Correva l’anno 1986, da qualche tempo avevo conosciuto il Grande Fulvio Ciocca, socio del Club Alpino Italiano della Sezione dell’Aquila, con il quale era nata  una profonda amicizia e nel contempo  eravamo entrati  in piena sintonia per andare ad esplorare i luoghi più remoti delle nostre montagne, a patto che il rientro di ogni  “gita” si concludesse in trattoria, a prescindere dall’orario di ritorno, oggi viene definito: il “terzo tempo”.   Aggiungo: era nato lo stesso mese ed anno del mio Papà, una coincidenza non da poco…  Nella primavera di quell’anno, prima di riporre i ramponi,  mentre rientravamo in città, con voce quasi da non farsi sentire, mi confidò un desiderio: “Paolo!  Vorrei salire sul Cervino.” Aggiunse: “con esclusione di una eventuale guida.”  Senza esitazione alcuna,  gli risposi subito di si,  ignaro di quello che poi ci avrebbe riservato tutta la meticolosa e severa preparazione. Il perché di questa richiesta al sottoscritto:  oltre all’amicizia che ci legava, era comprovata dal mio passato nell’Arma dei Carabinieri laddove, alla fine degli anni ’70, avevo frequentato il corso di roccia,  presso la Scuola Militare Alpina di stanza a Selva di Val Gardena,  raggiungendo il massimo del punteggio finale.

Si cominciò  con il reperire una carta topografica  che a L’Aquila non si trovava ed una conseguente relazione dettagliata.  Attraverso l’elenco telefonico, allora cartaceo, trovato nel posto pubblico dell’allora SIP, contattai una cartolibreria  di Aosta, la quale nel giro di 10 giorni  mi  fece arrivare quello di cui avevamo bisogno:  una carta  1:50000 e il volumetto telato “Guida ai Monti d’Italia – Alpi Pennine-“.  Dopodiché si incominciò con la preparazione fisica e tecnica.  Di comune accordo stabilimmo che  una volta a settimana, obbligatoriamente di pomeriggio,  per ragioni lavorative,  si andava a Fonte Cerreto per  salire e scendere i canonici “Valloni”: come tutti sappiamo,  un percorso sotto la funivia del Gran Sasso, nonché  un tratto del sentiero n 1 del Sodalizio Aquilano che, con i suoi mille metri di dislivello,  è una buona base di allenamento;   mentre un altro giorno, sempre nell’arco dei sette, ci si dedicava all’arrampicata in falesia, preferibilmente quella assolata di Monticchio, oggi intitolata alla M.d.V.M. Andrea Bafile.  Ovviamente nel fine settimana c’era l’escursione alpinistica di livello superiore o esplorativa sulle montagne del comprensorio.  In falesia si procedeva prevalentemente con le manovre  su corda attraverso i nodi machard (nodo autobloccante per scendere o risalire su corda). Tutto questo ci tornava utile qualora uno di noi due finisse in un crepaccio di ghiaccio.  Questa scrupolosa e attenta preparazione ci accompagnò per tutta la primavera e l’inizio dell’estate, quando i primi giorni di luglio cominciammo a pensare ad un ipotetico periodo in cui saremmo dovuti partire.  Nel frattempo si decise da quale Via affrontare la Gran Becca:  dal versante Svizzero o da quello Italiano?  Naturalmente stiamo parlando di  Vie “normali”, che sono già di per sé molto, ma molto impegnative;  per  noi  rappresentavano quasi  un miraggio.  La scelta ricadde su quella Italiana, forse per nazionalismo, la “famosa” “Cresta del Leone”, già teatro di estenuanti tentativi di salita nel luglio 1865, durati quattordici  giorni, per opera del Grande Alpinista  Jean Antoine Carrel, detto il Bersagliere.  Dopo aver esaminato le varie esigenze personali,  impegni di lavoro,  famiglia, ecc.  si decise di partire entro l’ultima decade di luglio, considerando e confidando anche nel meteo che  in quel periodo sarebbe dovuto essere un po’ più stabile.  A quell’epoca la sola trasmissione televisiva che portava a conoscenza del grande pubblico le previsioni meteo per l’intera settimana era,  “Linea Verde”,  in onda la domenica sui canali RAI poco prima dell’ora di pranzo.  Così convenimmo di partire la mattina di giovedì 24 luglio alla volta di Aosta, dove avremmo acquistato e completato la nostra attrezzatura alpinistica, necessaria per l’impegnativa scalata e nel tardo pomeriggio ci siamo trasferiti a Cervinia,  dove avevamo prenotato una discreta locanda nei pressi di Plan Maison, base di partenza per la nostra ascensione. Per fortuna, ancora oggi da questo versante dell’abitato,  non ci sono funivie che ti portano nell’alta montagna,  già Cervinia, posta a 2050 metri di altitudine, garantisce una buona base di partenza in quota, c’è solo una carrareccia  a servizio dell’alpeggio  che conduce al Rifugio Duca degli Abruzzi l’Oriondè, a quota 2802.  Prima di cena lo sguardo correva verso la Grande Montagna  quando un tiepido sole la stava colorando di rosso ed un brivido correva lungo la mia schiena. Mi domando: il grande momento è arrivato!   Parlando con il gestore della locanda ci riferisce che è nevicato in alta quota  fino a due giorni  prima, ma che i prossimi giorni il tempo dovrebbe essere discreto. Ci dice anche che non troveremo delle buone condizioni ma è senz’altro fattibile… La mattina seguente,  di buon ora, preparato lo zaino anche con il superfluo, scarponi ai piedi,  ci incamminiamo direttamente dalla locanda. L’attrezzatura tecnica, corda, friend, moschettoni, ecc., nel mio sacco. D’altra parte ero il più giovane e nello stesso tempo  “Capo Cordata”.   Il sentiero/carrareccia,  a tratti polveroso,  “profumava”  di buono, ogni tanto attraversavamo qualche torrentello che scendeva dai vicini ghiacciai,  gli animali al pascolo facevano da contorno alla Gran Becca che man mano si faceva sempre più spettrale.

Uno dei torrenti che scende dei ghiacciai del Cervino.

Non c’era il tempo di pensare agli eventuali pericoli, bisognava essere concentrati e continuare ad inseguire  il grande sogno. Fulvio con passo lento e costante mi segue, di tanto in tanto scambiamo qualche parola facendo anche qualche previsione sul domani quando ci sarà la vera ascesa. Superiamo l’Oriondè, subito dopo la Croce dedica a Gian Antoine Carrel, poi al Pan di Zucchero. Mi era stato raccontato che in questo punto le guide usavano premiare i clienti con un po’ di zucchero al ritorno dalla cima, ma a noi non ci spetta, stiamo ancora salendo, quindi,  “testa bassa e pedalare”, anzi,  è arrivato il momento  di legarci perché la roccia è diventata  decisamente verticale.

Rifugio Duca degli Abruzzi l’Oriondè 2802slm
La Croce Carrel

Per fortuna si  cominciano ad intravedere le prime corde fisse che ci aiutano soprattutto nello spirito, infatti ci eravamo ammutoliti.  Arrivati al Colle del Leone lo spettacolo è impressionante, la neve rende gli strapiombi  più intensi, qualche nuvoletta ci nasconde l’orrido sfasciume del  versante est.  Io mi sento minuscolo di fronte a tanto granito che si erge su di noi come un grattacielo, mentre Fulvio non proferisce parola, ma con le sue 62 primavere sale tranquillo. Che bella giostra ci stava attendendo! La Cheminèe,  il famoso passaggio utilizzato da Carrel durante la prima ascensione. Prendo lo zaino di Fulvio, lo aggancio alla corda  e gli dico: così sarai  più libero!  Infatti  il passaggio era molto faticoso. Finalmente la prima e agognata sorpresa:  la Capanna Carrel , a quota 3835slm.  Nell’attesa della cena ammiriamo i colori di fuoco del tramonto che illuminano la Dent d’Hérens., mentre il ghiacciaio in basso è già in ombra, alle nostre spalle “appare”, come un fantasma,  la “Corda della Sveglia”, ci sta aspettando domani mattina quando sarà ancora buio.

La Capanna Carrel 3835slm e dietro la “Corda della Sveglia”
L’interno della Capanna

Rientriamo alla Capanna, siamo solo noi due, nel ben mentre stiamo  preparando la cena arrivano due alpinisti, una Guida Svizzera con cliente. Dopo i rituali convenevoli, gli domandiamo se vogliono unirsi a noi per mangiare qualcosa insieme, nemmeno il tempo di finire la frase, e  accettano l’invito di buon grado.  Senza dire niente a Fulvio mi son detto: dopo aver visto il “fantasma”, con una Guida in posto, quella “Corda” non fa più paura. Prepariamo un po’ di pasta, qualche scaglia di parmigiano  e ci inerpichiamo sul  piccolo soppalco della Capanna dove ci sono le brande.  La Guida Thomas comunica al cliente l’ora della partenza: h4,30, si spengono le frontali e tutti a nanna. Senza proferire parola, solo con il gesto della mano, faccio capire a Fulvio che noi dobbiamo essere pronti prima di loro, infatti alle 4,15, dopo una notte passata in dormiveglia, siamo sul punto  per uscire. Tentenniamo un po’, cerchiamo di far finta di non essere ancora a posto e attendiamo la loro uscita che alle 4,30 in punto avviene.  Con discrezione ci mettiamo a debita distanza e, una volta che le due frontali davanti a noi, svaniscono dietro la Corda della Sveglia, partiamo anche noi. Notte splendida. Le stelle illuminano il cammino. Si va! Uno dopo l’altro si susseguono i passaggi che ho memorizzato leggendo la dettagliata relazione, Corda della Sveglia , Créte du Coq, Rocher des Ecritures: proprio qui sono incise sulla roccia  le iniziali di Wimper e Carrel  scolpite nel corso dei vari tentativi della prima scalata alla vetta. Solo toccare con mano queste rocce un brivido correva lungo la schiena quasi da arrestare la marcia  per rimanere ad ammirare queste incisioni.  All’improvviso la Grande Corde. A differenza di quella della “sveglia” non sembrò  così  un “fantasma”.  E qui mi venne in mente il Sommo: “…Salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo…”

La Grande Corde
Il Pic Tyndall
Il Soffio degli Dei

Poco prima di arrivare al  Pic Tyndall  il vento sferza intenso, un banco di nubi ci avvolge ma la visibilità è ancora buona. Arriviamo all’Enjambée, quasi dei passi sul nulla, ma noi siamo al sicuro, davanti a noi c’è Thomas. Si procede su parete verticale, gli appoggi e gli appigli  sono solidi ma non posso guardare di sotto,  temo di essere risucchiato dalla vertigine, dunque si rimane concentrati senza destare il minimo sospetto di paura perché  Fulvio lo possa capire.  Ancora qualche facile passaggio  e come un’apparizione,  la Scala Jordan! L’afferriamo con tutte e due le mani, ci tiriamo su velocemente perché di lì a poco sappiamo che c’è la Vetta, ma un grido irrompe nella nebbia: “ Lass uns gehen!!  Lass uns gehen!!” (Andiamo!! Andiamo!!)  Era la Guida Thomas che invitava il suo cliente a scendere,  proprio poco prima di conquistare la Cima. Noi,  attoniti e sbigottiti da questo grido, senza proferire parola alcuna, accettammo a malincuore questo segnale di allarme che stava per frantumare il nostro sogno. Con profondo rammarico e dispiacere, attraverso le necessarie doppie, cominciammo a scendere velocemente alla riconquista della Capanna Carrel. Nemmeno il tempo di mettere piede sul ballatoio del manufatto che una violenta bufera di acqua e di neve si abbatté sulla Montagna e su di noi. Rapidamente entrammo nel ricovero dove trovammo due cordate appena arrivate. Ci stringiamo la mano, i nostri sorrisi erano spenti, mentre i loro erano raggianti, comunque un gesto che esprimeva speranza e condivisione.  Aspettammo che passasse  la bufera e con passo mesto e sconsolati  andammo  giù: Colle del Leone, Pan di Zucchero. Ecco, qui abbiamo potuto tirare il fiato: senza il “meritato” premio dello “zucchero”.  All’Oriondè tutta la tensione svanì,  sentivamo di nuovo vicini i pascoli del Breuil, mentre lo sguardo ritornava verso la Gran Becca dove, se non ci fosse stato quel  “grido”,  oggi chissà: non l’avrei potuto raccontare. E pensare che avevamo fatto ca. 800 kilometri,  per coronare un sogno inseguito da molto tempo. Vedere sfumare la conquista del Cervino a soli 50 metri dalla vetta non fu affatto facile da accettare.  Ma la montagna è così, un ambiente meraviglioso ma impervio, dove l’uomo è un fragile ospite e non deve mai dimenticare che gli errori si pagano caro: perché alla fine, quando “certi”  incidenti accadono, quasi sempre di nostri errori si tratta. Tuttavia la fortuna del momento fu l’aver ascoltato quel “grido”,  ci aveva consentito, seppur nelle difficoltà, di riportare a casa la pelle.   

L’anno dopo tornai da solo perché il Grande Amico Fulvio aveva avuto qualche problema di salute e non potette  seguire i rigorosi allenamenti.  Questa volta, ancora più preparato,  preferii partire di notte intorno alle h 3, direttamente da Plain Maison, bypassando l’Oriondè e la Capanna Carrel,  conquistando la  Vetta intorno alle 9.  Trovai la Croce, magnifica, era spruzzata di ghiaccio. L’afferrai per vivere il mio sogno. Rimasi  per un attimo abbracciato ad essa, travolto dall’emozione pensando all’anno prima. Ma su questo torneremo in un altro capitolo…

Nota: quando Walter Bonatti concluse l’orrida scalata della Nord del Cervino (1965 aveva appena 35anni anni) e conseguentemente l’abbandono all’alpinismo, scrisse sulla relazione: “ Verso le tre del pomeriggio, quando mi trovo a soli cinquanta metri dalla vetta, improvvisa e splendente appare la croce metallica fissata alla sommità. Il sole che la illumina da sud la fa apparire come incandescente. Sono quasi abbagliato dai suoi  contorni luminosi. Gli aerei, ormai numerosi e che nell’ultima ora mi hanno assordato con il loro rombo, sembrano intuire la solennità del momento. Forse per discrezione si allontanano un po’, lasciandomi percorrere gli ultimi metri in silenzio. Come ipnotizzato stendo le braccia a quella croce fino a stringerla al petto, come fosse un amico, come se avesse un’anima”. Poco dopo quella croce fu abbattuta da una violenta bufera di vento e di neve, ma le coraggiose Guide del Cervino, in pieno inverno, salirono sulla Gran Becca e la rimisero in piedi.

Monte Cervino, la Vetta 4478slm

Riporto alcuni commenti più significativi:

Roberto Salza: ”Un abbraccio a Fulvio”

Sara V Visco: “Racconto sempre intenso e coinvolgente!”

Fabrizio Politi: “Racconto meraviglioso , Grazie!!!”

Domenico Rinaldi “Fantastico racconto Maestro ho un bellissimo ricordo di questa montagna che porto nel cuore”

Tiziana Ruzza “Che meraviglia! Grazie per aver condiviso questa bellissima esperienza!”

Bruno Marconi “Grande “Fulvietto” per me indimenticabile. Hai citato il sentiero n1 , andai insieme a lui a segnarlo, alla fine del brecciaio usò tutta la vernice per il grande segnale giallo – rosso, rimasto per molti anni. “Marcó il segnale deve essere visibile da sotto”. Diversi giorni insieme fino a Provvidenza. Quante escursioni. Tutte le vette del Gran Sasso. Straordinario anche con gli sci da fondo, giornate intere per lungo e per largo a Campo Imperatore.  Quell’anno (parli della sua malattia), se non ricordo male fu investito sulle strisce lungo il viale di Collemaggio. Diverse fratture ma per il suo fisico allenato, ne uscì sano e salvo. Grazie Paolo della bella descrizione e del ricordo di Fulvietto. Festeggiamo i suoi ottanta anni alla pizzeria di Fontesecco. Nel cuore sempre”.

Paolo Boccabella  in riposta a Bruno Marconi .    Se non ricordo male, l’anno che fu investito doveva essere il 1999, mentre nell’86 l’indisponibilità fu di altra natura. Per i suoi ottant’anni gli organizzammo feste in ogni dove, una in particolare alla casa di Mimina Del Signore e Roberto Antonacci, dove lo riaccompagnammo a casa un pò “allegrotto”. Un Grandissimo Fulvietto.

Francesca Boccabella: “Che bello papà!”

Pierluigi Polce: “Grazie Maestro, racconto meraviglioso, significativo e spero educativo per tanti se non per tutti!”

Vito Placidi: “Bravi e fortunati. Noi nell’agosto dell”84, se non sbaglio, arrivammo a Cervinia con il maltempo e recandoci nell’ufficio delle Guide ci informarono che il maltempo sarebbe durato, non ci avrebbero assegnato una guida e ci diffidarono dal salire senza, se mai ci fosse venuto in mente. Rimanemmo un paio di giorni a Cervinia. La mattina del 4 ci svegliamo con una bella nevicata. Da lì a poco ripartimmo alla volta di più modeste vette. Complimenti Paolo e grazie per il ricordo del compianto Fulvio.”

Gianni Di Giacinto: “Un sogno anche per me, spero di salirlo un giorno. Grazie tante Paolo Boccabella per il tuo entusiasmante racconto.”

Camilla Marinelli: “Bellissima descrizione di un’impresa impossibile ai più!!!! Per questo grazie!”

Eleonora DI Lorenzo: “Wow! Rispetto per chi ha vissuto così la montagna”.

Walter Cavalieri: “Ho scelto di leggere con calma questo post lungo e avvincente, che più di un resoconto alpinistico rappresenta una LEZIONE tecnica di montagna e una umana LEZIONE di vita. Congratulazioni, grande Paolo!”

Antonella Ruzzi: “Che bel racconto! Scritto in modo davvero avvincente, per un attimo mi è sembrato di essere lassù con voi. L’urlo della guida è stato da brividi. Grazie di questa bellissima testimonianza.”

Elisabetta Tozzi: “Fulvio Ciocca un grande. Quante escursioni ed Ascensioni in montagna. Mi ricordo che la trattoria a fine gita era per lui indispensabile, ma se gli dicevi di andare in pizzeria, rispondeva che gli metteva tristezza! Mi ricordo che mi raccontò questa sua esperienza al Cervino! Era nato lo stesso anno di mia madre e dei miei suoceri che lo conoscevano bene! ❤️ Complimenti per il racconto e grazie per aver ricordato Fulvietto.”

Paola CafaggiBellissimo racconto. E quanta esperienza ti porti sulle spalle! Complimenti!

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