Il “Sentiero del Centenario” è così detto perché fu attrezzato nel 1974 dalla Sezione Aquilana del Club Alpino Italiano per celebrare i cento anni dalla sua fondazione. E’ un itinerario ricco di vedute panoramiche che variano lentamente e le cui sensazioni si alternano tra l’impegno alpinistico e i vari respiri escursionistici che consentono una sicura identificazione di quanto si riesce a cogliere.
Si parte da un fontanile di antichissime risonanze e suggestioni pastorali: “Le Fontari” (1975slm) e si raggiunge Vado di Corno (1924slm) che immette nel precipite versante di Casale San Nicola. Sulla sinistra è possibile scorgere lo sperone sud-est della Vetta Centrale del Corno Grande e la vertiginosa parete orientale “Il Paretone” che incombe nella selvaggia Valle dell’Inferno che con le sue difficoltà di percorribilità si difende e si isola sdegnosa dalle aggressioni del turismo devastante. Sulla destra si snoda il filo di cresta del Brancastello-Prena-Camicia. E’ un percorso che in estate è segnato, alle quote più elevate, da una presenza ininterrotta di stelle alpine. E lo segnerà fin quando la diseducazione dei turisti che le strappano doviziosamente non ne decreteranno la fine. Il sentiero molto marcato corre quasi sempre sul filo di cresta tranne in quei punti in cui frane paurose non ne han fatto crollare tratti di notevoli lunghezze. Lasciati sulla sinistra dolcissimi prati dove sono i resti di un insediamento pastorale , stazzo di Rigo Rosso (m2065), uno dei più alti del Massiccio, ed il Pizzo San Gabriele (2214slm) che incombe sull’omonimo santuario si giunge, superando un’aspra pietraia sulla cima di Monte Brancastello (2385slm). Ormai il sentiero diviene meno marcato e più discreto in quanto il percorso fino al Brancastello incomincia severamente a selezionare gli escursionisti. Un richiamo estremamente suggestivo è dato dalla presenza sullo sperone tra i Valloni del Malepasso e di Fossaceca della Chiesetta di Santa Colomba. La Santa che proveniva dalla famiglia dei Conti di Pagliara e che si ritirò nell’eremo divenendo uno degli esempi della santità femminile che punteggiano il medioevo. Una leggenda dal sapore gentile narra che il fratello della predetta si recò nell’eremo per farla recedere dal suo intendo di isolamento. Naturalmente invano. Ma in quella circostanza la Santa non avendo nulla da offrire al fratello fece fiorire e fruttificare all’istante un albero di ciliegie. A ricordo della permanenza della Santa nel vallone sulla sommità di esso il valico strettissimo che immette nel versante meridionale è stato denominato “Forchetta di Santa Colomba (m2290). Ma prima di raggiungerla, si oltrepassa un altro valico ben più importante e funzionale denominato del Piaverano (m 2327). Nome ricco di mistero che potrebbe far pensare ad una funzionalità economico-religiosa, ipotesi che si rafforza per il fatto storicamente accertato che attraverso tale valico passavano i pellegrini che dal versante teramano raggiungevano L’Aquila per il travolgente e coinvolgente culto di San Bernardino da Siena e di San Franco.
Ora il percorso si fa più impegnativo. Pur attrezzato con ferrate, esso diviene di natura alpinistica. Si devono superare infatti dei torrioni o Torri di casanova (m2362) cosiddetti impropriamente perché incombono sull’insediamento pastorale e cisterciense di Santa Maria del Monte di Paganica, grancia dell’Abazia di Santa Maria di Casanova, primo monastero cisterciense della regione sul versante sud-orientale del Massiccio. Ora si profilano gli altri impegni alpinistici costituiti dalle creste del Prena e del Camicia. Il filo della cresta dipana le sue meraviglie: le combe che sono sotto il versante settentrionale di Monte Prena, le fantasie dei picchi, la mobilità delle rocce che incastra trai picchi enormi massi, i grossi roccioni che, come nelle grotte carsiche, suggeriscono le immagini di mostri, di vescovi in concilio, di animali, di persone e di tante altre fantasie similitudini visive. Queste meraviglie immettono a livello di cresta sulla cima del Monte Prena (2561slm), montagna in evoluzione continua che determina verso Campo Imperatore enormi coni di deiezione ancora attivi. Rimane ora da scendere al Vado Ferruccio (m2245) che dopo Vado di Corno e Vado del Piaverano è uno dei più importanti del Gruppo. Abbiamo oramai di fronte l’ultima cima del percorso ovvero quella del Camicia, con i suoi 2564slm rappresenta la vetta più alta del “Centenario”. La visione della sua parete nord, la più bella, difficile e maledetta di tutto il Gran Sasso, è guardiano il Dente del Lupo che ne attenua sulla sinistra la precipite caduta quasi ad addomesticarla ma le sorprese di questi vertiginosi precipizi dai quali respirano refoli di venti che nascono dal mare ed arrivano fin qui sopra raffreddati. Si arriva infatti seguendo il filo di cresta in prossimità della cima dalla quale, non essendovi altri ostacoli montuosi, si scopre il tappeto variopinto delle montagne teramane e pescaresi fino al mare . Percorrendo la cresta e lasciando il sentiero che corre più in basso, si aprono finestre imponenti sui precipizi che incombono quasi perpendicolarmente sul Fondo della Salsa. Siamo quasi alla fine dell’itinerario . Per il Vallone di Vradda o per il Monte Tremoggia si arriva a Fonte Vetica (m1632), dove v’è un ricco bosco di larici, esempio sperimentale di ricostruzione del bosco di conifere a Campo Imperatore. Da Fonte Vetica si diparte l’acquedotto che adduce dagli inizi del ‘900 l’acqua a Castel del Monte che, con uno sforzo corale dei pastori, riuscì, senza sovvenzioni di sorta, a realizzare il sogno certo millenario di avere l’acqua in Paese. Sforzo a mezza via tra il sogno e la capacità di fare ove si pensi che il Paese visse sempre con l’acqua dei pozzi.