E’ incredibile, quando meno te lo aspetti la natura ti regala situazioni inaspettate, specialmente quando, dopo una stagione estiva rovente e prolungata, non ti aspetteresti di trovare ancora neve negli orridi e severi meandri della Catena del Gran Sasso. Stiamo parlando del nevaio “permanente” del Gravone, considerato il più basso d’Europa, compreso tra le quote 1650-1850 della carta IGM, foglio 140 Castelli-Rigopiano.
Il nevaio del Gravone fu percorso per la prima volta nel 1957 da S.Baroni e D.Cutilli (fino alla Forchetta di Penne), mentre nel 1960 fino alla cresta del Tremoggia. Dal 1976 viene percorso due volte l’anno, una in primavera ed una in autunno, per reperire i dati sul suo stato nivologico.
Il percorso ufficiale parte dall’abitato di Castelli, segue per ca. 9km la carrozzabile per Rigopiano, fino ad uno spiazzo dopo una galleria, 1220m, dove si parcheggia l’auto…
Oggi non descriveremo tale itinerario, bensì la calata in doppia, attraverso la “Via dei Gelati” e il regno delle stelle alpine, in corrispondenza della testata del bacino ablatore, a quota 2010, oggi senza neve. Si scende attraverso grossi massi fino a conquistare una polla d’acqua, la sorgente dell’Angelo, dove si costruisce la prima sosta. Da questa ci si cala, dapprima sul fianco sinistro, asciutto, del rigagnolo proveniente dalla sorgente, successivamente si conquistano dei ripidi prati fino ad arrivare su un primo salto di misto, dove spicca un grosso spuntone di roccia che ci dà la possibilità di attrezzare la seconda e sicura sosta. Proprio da questa posizione si intravede il nevaio che, oramai certi della presenza, si continua a scendere, sempre in doppia, per un canale di misto dove si raggiunge un terrazzino. In corrispondenza di tale terrazzo “appare” un vecchio chiodo a due anelli, lasciato negli anni ’80, quando venivano effettuati i primi sopralluoghi a questa vedretta. Oramai una doppia da 30m cavalcando uno sperone roccioso, ci consente di approdare al nevaio.
La posizione stessa del nevaio, incassato in una stretta gravina, al riparo quindi dei raggi solari, ostacola notevolmente il fenomeno della sua ablazione. Inoltre la natura del suolo che limita considerevolmente la presenza di terriccio sulla sua superficie e l’assenza di calpestii, essendo esso fuori di ogni itinerario escursionistico consueto, fanno sì che la sua albedo si conservi quasi intatta inibendo così ulteriormente il fenomeno della ablazione.
Si dice impropriamente nevaio poiché esso è nella realtà costituito di ghiaccio verde durissimo in superficie e fittamente stratificato e poroso all’interno, ossia rappresenta solo il nucleo glaciale di un nevaio che nelle stagioni normali dev’essere molto più spesso ed esteso. Tale ipotesi è suffragata anche dalle caratteristiche del fondo: a valle, fino a q. 1770,esso è costituito da detriti di ogni dimensione a spigoli vivi, senza segni di erosione né la minima traccia di vegetazione, al contrario di quanto si verifica sulle falde o coni detritici laterali.
La risalita è sullo stesso itinerario.
Materiali impiegati: due corde da 60 metri, 4 chiodi e tre fettucce, di cui un chiodo lasciato in posto sulla prima sosta.