“…Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare…” Inferno Canto V 22-24
L’idea di pubblicare i risultati e le ricognizioni sui nevai permanenti del Gran Sasso, spesso sconosciuti alla gran massa degli escursionisti ed alpinisti, scaturisce dal desiderio di far conoscere a tutti tale fenomeno che può costituire di per sé motivo di interesse e fornire la possibilità di mete escursionistiche diverse da quelle abituali; siamo convinti, inoltre, che lo stesso fenomeno, a quote a volte eccezionalmente basse, sebbene ignorato dalla geografia ufficiale, abbia anche nelle sue piccole dimensioni, un’importanza di carattere generale. Esso infatti , in seguito ad osservazioni sistematiche a lunga scadenza, può costituire, insieme alle osservazioni sul ben più noto «Calderone» un possibile indicatore delle variazioni climatiche sull’Appennino Centrale. La letteratura sui nevai del Gran Sasso non è molto ricca. Le nostre modeste indicazioni vogliono costituire solo stimolo ad ulteriori ricerche.
Il nevaio del Fosso della Rava è situato sul versante N del Vado di Ferruccio (Carta IGM foglio 140, III, NE 42° 26′ – 42° 27′ lat. N e 1° 14′-l° 45′ long. E
La sua maggiore peculiarità è la quota: m 1600-1700 slm che pare sia da considerarsi eccezionale ed unica nel mondo a tale latitudine (va tenuto conto che la geografia ufficiale attribuisce tale primato al Ghiacciaio del Calderone compreso tra le quote 2680-2800, di ben oltre 1000 metri più alta.
Infatti il nevaio è contenuto, tra le quote 1600 e 1700, dalle due pareti rocciose verticali del Fosso della Rava. Questo è un autentico «CANYON » con esposizione NE, scavato dall’acqua lungo una linea di frattura.
Le sue pareti, alte fino a 100 metri, sono formate da strati rocciosi in serie rovesciata costituiti: in alto da banchi, con spessori variabili fra 0,5 e 2 metri, ad andamento subverticale, di calcari bioclastici del cretaceo medio, e da calcari bianchi fittamente stratificati (scaglia) del cretaceo superiore; in basso da un grosso pacco di sottili strati di calcari marnosi rossi e verdi intercalati con frequenti straterelli e lenti di selce del paleocene.
Tali rocce pur non presentando tracce evidenti di macrofossili contengono abbondanti frammenti di essi e numerosi microfossili.
Il nevaio, al bacino di raccolta, è lungo attualmente 150 metri, largo in media 10 metri, ha una profondità massima di circa 10-15 metri; la pendenza della sua superficie, abbastanza omogenea, è di circa 25°, mentre il profilò di fondo del canalone è molto discontinuo e presenta nella parte mediana salti verticali di oltre 30 metri.
La sua fronte presenta una bocca, con corso d’acqua sul fondo costituita da una galleria la cui altezza, circa mt. 2,5 all’Imbocco; si riduce man mano, mentre nella parte di ablazione la galleria è crollata, formando grossi blocchi di neve che andranno a ricostituire il fondo della vedretta.
Il ruscello che scaturisce dal nevaio percorre il tratto inferiore, molto scosceso, del Fosso della Rava e, sempre conservando questo nome, raccoglie a q. 600 (100 mt. più in alto di Castelli) il contributo del Leomogna che scende dalla parete N del Monte Camicia, per versare nel fiume Mavone che è uno dei grossi affluenti del Vomano.
Tali itinerari non presentano elevate difficoltà tecniche, purtuttavia, per le insidie che il tipo di terreno può celare (erba e rocce levigate spesso rese scivolose dall’umidità) vengono consigliati solo ad escursionisti esperti (alpinisti). Non guasterebbero uno spezzone di corda da 30 metri due anelli di cordino e due moschettoni per l’assicurazione in brevi passaggi.
Non me ne vogliano coloro che non ho potuto o voluto accompagnare, ma oggi è stata veramente un’impresa, non tanto per l’osservazione del nucleo centrale del nevaio, costituito da crolli già assestati, quanto per il traverso in fase di avvicinamento, costituito da un velo di neve ghiacciata su cenge erbose, dove le assicurazioni sono state aleatorie.