Il mio rapporto con la natura in genere e con la montagna in particolare è sicuramente un rapporto speciale. Un rapporto d’amore quasi viscerale. Un binomio di dare e di avere, dove io sento di aver dato ancora poco anche se sono trascorsi tanti anni.
Ogni uomo che si misura con la montagna, a qualunque livello di difficoltà, ponga rispetto ad essa e per la sua natura, è sempre e comunque in condizione di inferiorità.
La montagna, una delle cose più belle del creato, può essere terribilmente rigorosa, dura e in apparenza a volte inutilmente cattiva e crudele. Come diceva il famoso scrittore, poeta e drammaturgo tedesco J.W.Goethe: “I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi”.
Natura compreso le montagne sono i confidenti più sicuri, ai quali si possono confidare i propri pensieri: belli e brutti, tristi e lieti; esse sanno ascoltare e tacere, salvo a darti una risposta inequivocabile, nel momento più inatteso. Comunque trovo sempre dei chiarimenti, basta saperli riconoscere a capirli.
Per apprezzarla, amarla e conoscerla in tutte le sue vere sembianze è essenziale viverla quotidianamente, con passione e sacrificio.
Descrivere, raccontare, esaltare la montagna è apparentemente facile, entrare in comunione con la montagna è l’arrampicata più difficile; questa è un’impresa che probabilmente solo pochi eletti riescono a compiere e chi ha questo privilegio non sa riconoscerlo, perché è la sua modestia a renderlo degno di averlo.
Solo così essa c’insegna a riconoscere le sue bellezze immense, in fatto di bellezza, di panorami grandiosi, di flora e di fauna; solo così si riesce a riconoscere ed a evitare i suoi grandi pericoli, che anch’essi comunque sono parte integrante e giustamente completano la sua bellezza.
Questa è una bellezza selvaggia, a volte crudele, che si vive in circostanze estreme, basta comunque sempre tener presente che i monti, sono come gli uomini, ognuno unico, ma nell’essenza equivalente: solo il loro carattere li distingue e li rende veramente diversi.
La grandezza, la gioia, la pace e la visione dell’immenso, sicuramente ci è data da un fiore, dalla sua perfezione, dall’armonia dei suoi colori, dal profumo della vita parca che vive e rappresenta l’odore del creato e del Creatore.
Ammirare il merletto delicato di una cresta, il disegno strampalato di una parete o il tetro di una gola umida e fredda, di una forra buia e viscida, seppur in antitesi fra di loro, rappresentano sempre una bellezza primordiale, una bellezza di un’altra dimensione.
Fin dalla più tenera età ho cominciato a sentir parlare del richiamo della montagna. Penso che si nasca avendo già nel sangue la passione per l’ Alta-Quota, naturalmente esaltata dai continui racconti, ingrandita ulteriormente dal fatto di essere nato in un paese circondato dalla loro bellezza. La montagna è una maestra severa, austera, in alcuni casi anche crudele, essendo stati tantissimi coloro che hanno perso la vita nel volerle troppo bene o nel prenderla con leggerezza e facilità.
Altrettanto è prodica d’insegnamenti che nel resto del mondo, oramai, sono solo un vago ricordo. Il primo e forse il fondamentale di tali insegnamenti è il rispetto, un rispetto totale delle persone per l’ambiente, la fauna, la flora, in una sola parola: la natura, la nostra casa.
Vivere la rabbia della montagna, con una furia di un temporale o di una bufera, ci disorienta, ci affatica enormemente e limita il nostro mondo in quei momenti a pochi metri quadrati di spazio, come se fossimo rinchiusi in una cella angusta con dei demoni infernali.
Ci sono poi, pochissime montagne del pianeta che non ti regalano nulla, specialmente la dea madre della Terra. Una sinfonia di pareti senza confini si apre tra davanzali di nuvole: note di cielo e di roccia su un pentagramma di ghiaccio. Poco sotto, presago di cattivo tempo, un mare di nubi sospinto da un vento lieve, risale pigramente gli impervi versanti, cancellandoli alla mia vista. E’ un tardo pomeriggio, sono solo e mi guardo intorno, incredulo di essere finalmente arrivato al cospetto di questa montagna.
Il ricordo e la visione più bella di questa montagna è stato il tramontar del sole che in un limpido pomeriggio di maggio, quando all’improvviso il sole comincia il suo percorso per andare a “dormire” appariva in tutto il suo splendore illuminando la vetta . Improvvisamente la grandiosità del creato sembrava essere tutta sotto i miei occhi e io ne ero il centro e al centro di esso. Man mano che il sole scompariva il mondo riacquistava la sua reale dimensione, ogni cosa tornava al suo posto, il sogno svaniva, ma viva rimaneva l’immagine che mi aveva colpito. Io, instancabile alpinista/ esploratore ero salito idealmente su una delle vette più alte dell’universo. Avevo visto il Paradiso, ero stato al cospetto di Dio. Il terrestre con nostalgia e rimpianto torna su questo mondo a raccontarlo ai suoi simili.