“In memoria di Livia Carbrecht, caduta sulla “direttissima Nord” (sentiero estivo) del Corno Grande del Gran Sasso d’Italia il giorno 27 giugno 1943. Come attingemmo la Vetta nella luce radiosa del sole, baciai sulla bocca la mia bambina salita con me. Ci affacciammo sull’orrido. Apparve allora sul fondo, scintillante nel sole, la piccola valle bianca tra le pareti ciclopiche. E nel biancor delle nevi lo avvicendarsi folle dei piccoli uomini fatti ancora più piccoli nel cospetto della Montagna! Trasvolavan su noi, saettando,, le rondini pie, ebre di vita, mentre nella valle radiosa scendeva improvvisa l’ombra funebre della morte! Un grido già spento, assorbito dall’eternità, sembrava ancora vagare per la valle, ripercosso dagli echi profondi della Montagna: «Livia è caduta!…» «Livia è morta!,..» E il grido ancora, vibrando per l’aria, vaniva lontano lontano oltre la cerchia degli orizzonti fattisi foschi a somiglianza dell’anime nostre! “Un desolato dolore ci lacerava le fibre del cuore”. Un fiore non ancora sbocciato è stato reciso!» «Una vita non ancora dischiusa è stata schiantata! » «Una luce nascente si è spenta!…» «Per sempre!…» «Livia è morta! » «Livia è morta!…» Strinsi a me la creatura mia come a proteggerla da una oscura minaccia , e con la morte nel cuore discesi verso le valli. . Fermato il piede sul sentiero sicuro, avviai la mia bimba e i ragazzi compagni verso il Rifugio, volgendo i miei passi alla valle funesta. Lungo il sentiero doloroso incontrai giovani dai Volti disfatti, dove la sciagura aveva Impressa l’orma profonda. Raggiunsi soldati feriti, ospiti del «Campo Imperatore» che andavano e andavano ad offrir l’opera loro, con l’anima grande di chi tanto ha donato e mal non si stanca’ di donare. E io vidi questi Uomini! Questi soldati schiantati; relitti dei campi atroci della battaglia; rifiuti della Morte, trascinar sulle petraie la loro misera carne dilacerata dalla mitraglia percossa, sconvolta dalla sofferenza e la loro gloria, per soccorrere, per offrire ancora quanto di forte, di vivo, di puro era In loro. Incuranti di sé e della propria sventura. Piansi al loro cospetto e mi inginocchiai a baciar la petraia calcata dal loro passo dissimile poiché mi ritenni non degno di baciar le lor mani santificate dal Grande Martirio! E l’opera umana del soccorso iniziò. Con fatica atroce e sovrumana furon tratti i feriti dalla gelida valle profonda. Discendevano l’ombre notturne quando ancora si andava vagando per i dirupati sentieri della Montagna col carico triste delle barelle sanguinose!… Ma la piccola Morta, rimase sola lassù! Nella notte, tra il biancor delle nevi, vegliata nel sonno dalle stelle silenti del cielo e dal dolore e dall’ansia del suoi adolescenti compagni smarriti! E prima ancóra che il sole sfiorasse le cime alte nel cielo; prima ancora che l’alba tingesse di rosa gli orizzonti lontani un “Solitario” era già nel sentiero doloroso con la volontà protesa a strappare alla Montagna bella e crudele la piccola Morta. Tutti i fiori che l’avevano vista passare giovane e bella, volgevano a lui le corolle sottili, e: «Livia dov’è?…» chiedevano con tremule voci. Roridi di rugiada sembravano bagnati di lacrime. L’avevano vista passare nel mattino di sole e l’avevano cercata nel mesto tramonto. Bella e nel vigor della vita. Essa era benché ancora alla «Vita» non fosse dischiusa! « O Livia dov’è?? » chiedevano come presaghi della sventura, e offrivano i calici fragili alla mano tremante del «Solitario» che si tendeva a raccoglierli per ornare la spoglia mortale dell’adolescente Involatasi al cielo.”
E gli uccellini dalle ali bianche, volando in cerchi serrati Intorno al viatore — «Cip cipl… Cip-cip!… Dov’è Livia?…» — chiedevano ancora. E al loro singhiozzo rispondeva il singhiozzo accorato del «Solitario!…» — Oh! Venite con me! Creature del dolce Signore! — Venite con me! — Essa è lassù, tra il biancor delle nevi, che attende! — Essa è lassù, tra il biancor de le nevi, che attende! — E’ lassù, dove l’anima sua si è disciolta dalla spoglia terrena e si è involata per sempre! — E fiori vermigli son germogliati nel candor delle nevi? dove essa posò dopo il breve ” volo mortale! — E’ sola, lassù che ci attende! — Oh! Voi che sapete volare! Andate! Andate! Volate lassù! — Perchè più non sia sola! — Io verrò col passo mio lento, reso grave dal peso della materia! — Fatto Incerto dal pondo del dolore! — Andate! Ed annunciate che più non è sola! » E gli uccellini dalle ali bianche partivano in volo, ed il loro singhiozzo si fondeva al singhiozzo accorato del « Solitario» perdendosi per l’azzurro del cielo: « Cip -cip !… Cip -cip !… > Ancora il grido atroce della dipartita si ripercoteva di roccia in roccia, di valle In valle, nell’anima nostra quando la salma gelida, lieve come una rondine morta, composta nella piccola bara, s’avviò pei sentieri del ritorno. E i sentieri diruti, e i nevai vertiginosi, e le rocce e le valli, tutto fu superato dalla volontà fiera dei, « portatori » dolenti! Essa cosi transitò per la valle fiorita. Ma non più esuberante di vita. Ma gelida salma! Era il mezzo del giorno quando essa tornò! E i piccoli fiori si volsero ancora al «Solitario» gemendo: «Livia! Livia!… Ma Livia dov’è?…» E le lacrime amare sgorganti dagli occhi arrossati dei « portatori » irroravano il sentiero riarso, o si posavano lievi sulle corolle ansiose a raccontar la sventura! E gli uccellini volando univano al pianto degli uomini e delle cose il loro singhiozzo: « Cip-cip !… Cip-cip !… «Livia è morta!… «Livia è morta!… «Cip-cip!… Cip-cip!…» Nella penombra della Basilica antica la Salma è distesa sotto un manto di candidi fiori.’ i chiodi, il martello, la corda, simboli della sua e della nostra passione son lì sulla salma. E un mazzolino di fiori della montagna, anemoni, genziane, miosotidi, sono lì e spiccano sul candore del manto fiorito. Sono i fiori stessi che Le avevano sorriso quando, nel mattino radioso, passò! Sono o fiori stessi che avevano pianto vedendola morta al ritorno! Ardono i ceri sacri con tremula luce. La tremula voce sottile dell’organo, come voce celeste riversa tra le colonne delle navate maestose il fiume sublime delle note dell’«Ave» di Schubert. I sacerdoti gravi, si volgono a benedire con gesti ampi e solenni.