L’espressione guerra Bianca (in tedesco Gebirgskrieg, ovvero una “guerra in montagna“) Tra il 1915 e il 1918 sulle Alpi nei settori operativi delle Dolomiti, e dei gruppi dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello-Presanella, videro le truppe del Regno d’Italia contrapposte a quelle dell’Impero austro-ungarico. Questo fronte fu caratterizzato da combattimenti svolti in scenari di media ed alta quota, lungo il confine meridionale della regione storica del Tirolo (che coincide con l’attuale limite amministrativo della provincia autonoma di Trento), che per più di due terzi correva su di una linea al di sopra dei 2000 metri di quota, fino a toccare i 3905 metri dell’Ortles.
Questo confine formava un formidabile ostacolo naturale che venne sfruttato dagli austro-ungarici, i quali, essendo in netta inferiorità numerica rispetto all’esercito italiano, durante le primissime fasi del conflitto si ritirarono sulle cime che dominavano i punti strategici per poter usufruire dei vantaggi derivati dalle postazioni sopraelevate. Fin dai primi mesi di guerra sul fronte alpino furono costruite linee ben fortificate che colmavano ogni lacuna lungo il fronte, dove vennero occupate anche le vette più alte per creare una linea di combattimento continua e inaccessibile.
Questo fronte fu caratterizzato soprattutto dalle difficoltà legate al clima, alla neve e alle difficoltà di approvvigionamento di entrambi gli eserciti; il trasporto delle artiglierie sulle vette di montagne, fu forse una delle imprese più ardite di tutta la guerra Bianca, mentre le condizioni di vita dei soldati su questo fronte fu probabilmente tra le più proibitive e difficili di tutta la guerra. La stessa natura dell’alta montagna, che da una parte offriva ripari naturali, dall’altra metteva quotidianamente a dura prova la resistenza dei soldati, i quali dovettero lottare contro il nemico ma soprattutto contro gli elementi; seracchi, tormente di neve, valanghe, inedia e assideramenti causati dalle temperature a volte di 40° sotto lo zero, causavano più vittime che non il nemico.
Tutti i moderni mezzi di lotta, come la preponderanza di truppe, fallirono contro le montagne che per loro natura erano baluardi inaccessibili per i quali era preclusa ogni manovra di aggiramento. I tentativi di assalto frontale vennero presto abbandonati per iniziare una guerra sotterranea, soprattutto nel fronte dolomitico, dove entrambi gli eserciti iniziarono a costruire gallerie per mine con lo scopo di far saltare le vette e le postazioni occupate dal nemico. Ma anche questa tattica dovette essere abbandonata quando, dopo lo sfondamento austro-ungarico di Caporetto, i fanti italiani lungo il fronte alpino furono richiamati in gran fretta per rinforzare le file all’esercito schierato sull’ultimo baluardo cioè: il Piave, concludendo di fatto ogni ulteriore azione sul fronte dolomitico, mentre sui fronti delle Alpi Retiche meridionali i due schieramenti continuarono a contrastarsi fino agli ultimi mesi di guerra, seppur con azioni di poco rilievo.
Durante tutto il 1915 nessuno dei due eserciti tentò di occupare il massiccio della Marmolada che divideva i combattenti, a parte qualche scaramuccia tra pattuglie nemiche pratiche del luogo, che si erano spinte sulla Marmolada di Punta Penia a 3344 metri di quota, il settore rimase calmo fino alla primavera del 1916, quando alcune formazioni austro-ungariche si spinsero di sorpresa sui punti più importanti del margine opposto del ghiacciaio, occupandoli. Di conseguenza gli italiani, sentendosi minacciati alle spalle, sul Col di Lana, con una contro azione condotta con forze superiori, occupò la parte orientale della posizione di Piz Serauta, fortificandosi e impiantandovi una teleferica. Da quel momento entrambi gli schieramenti iniziarono un’intensa attività per rinforzare le posizioni e creare uno schieramento stabile e protetto dalle intemperie e dall’artiglieria nemica. Gli Austriaci installarono il loro punto centrale dei rifornimenti sotto la lingua del ghiacciaio sul Gran Poz a 2300 metri, sotto l’attuale Pian dei Fiacconi, dove vi era anche la stazione principale della teleferica, e da dove i portatori partivano per portare i rifornimenti verso le postazioni di «Forcella della Marmolada», «3259», «Dodici», «Undici», «2800» e «fessura S». Avvalendosi della posizione “privilegiata” prima, e della forza muscolare poi, gli Austriaci scavarono numerose gallerie all’interno del ghiacciaio al riparo dalle artiglierie italiane, le quali, ben posizionate in avamposti sopraelevati, colpivano insistentemente le posizioni nemiche. I lavori proseguirono per tutto l’inverno 1916 fino alla realizzazione di quella che, con un’espressione suggestiva, fu chiamata “la città fra i ghiacci” della Marmolada. Gli scontri non furono particolarmente numerosi, e si concentrarono soprattutto verso la parete che sovrastava la postazione della «fessura S» da dove gli austriaci iniziarono lo scavo di una caverna nella roccia, che indusse gli italiani a procedere, scavando a loro volta una galleria di contromina. Nonostante questo, gli austriaci riuscirono ad aprire un grosso foro nella parete rivolta verso gli italiani, nel quale issarono un pezzo d’artiglieria con il quale poterono sparare contro numerosi bersagli nemici e controllare i loro movimenti. Ma gli italiani, dopo aver appreso di essere sotto tiro, accelerarono i lavori di contromina, e grazie all’ausilio di perforatrici in poco tempo riuscirono raggiungere sotto le postazioni nemiche, che furono fatte saltare in diversi punti, eliminando in questo modo il pericolo creato dall’artiglieria nemica. I mezzi e le disponibilità degli italiani erano però soverchianti rispetto alle disponibilità degli austro-ungarici, e ciò fece sì che questi ultimi pensarono soprattutto a costruire sempre più ripari e postazioni in roccia e ghiaccio, sia per difendersi dalle granate che dalle valanghe. Le operazioni quindi subirono una quasi totale stasi fino all’abbandono delle posizioni da parte italiana, dopo che gli uomini furono richiamati sul Piave a seguito dello sfondamento di Caporetto, e sul ghiacciaio della Marmolada le operazioni militari finirono del tutto.