La prima ascensione del “monte che è detto corno”, compiuta il 19 agosto del 1573 da un anziano e stravagante ingegnere militare bolognese: Francesco De Marchi, guidato da alcuni montanari abruzzesi, è stata la prima scalata di una montagna documentata. Accompagnato dal milanese Cesare Schiafinato e da Diomede dell’Aquila, nell’agosto del 1573 De Marchi si recò ad Assergi (“Sercio”) alla ricerca di qualche montanaro che avesse potuto fargli da guida. Individuò un cacciatore di camosci, Francesco Di Domenico, che aveva già scalato la cima e che si aggregò volentieri. Volle reclutare anche due fratelli, Simone e Giovampietro Di Giulio, e “a preghi e premi” li convinse a fargli da portatori. Così, con non poco sforzo, in cinque ore e un quarto, fu raggiunta la vetta, attraverso quella che oggi è: “Il Sentiero Estivo”, impropriamente detta: “Via Normale”. “Mirand’all’intorno, pareva che io fussi in aria”. Il De Marchi, era un tipico prodotto della cultura rinascimentale Italiana. Uomo geniale, vivace, estroverso, cultore degli interessi più vari, costui conobbe e frequentò a Roma Michelangelo, Bramante, Raffaello, visse lunghi anni al servizio di Margherita d’Austria e dei Farnese, si occupò di strategia militare e di arte antica, viaggiò in lungo e in largo nell’Europa settentrionale e nel mare Mediterraneo, sfuggendo più volte agli inseguimenti dei pirati Saraceni. Fu il primo a scendere, dentro un rudimentale scafandro di sua invenzione, sul fondo del lago di Nemi, per esaminare le navi Romane.
Monumento dedicato all’Alpinista Giuseppe Raggi
Bisognerà aspettare che il marchese Orazio Delfico, naturalista, botanico e chimico, il 30 luglio del 1794, in compagnia dell’architetto/ingegnere Eugenio Michitelli e di un piccolo gruppo di montanari, realizzasse l’impresa, veramente straordinaria per l’epoca, di aprire la strada dal versante teramano fino alla sommità del Monte Corno, attraversando la famosa vedretta del Calderone.
Una “gita” che anche oggi rappresenta un’alpinistica di prim’ordine, per ambienti e panorami che si attraversano, forse una delle più belle e suggestive dell’intero Appennino, soprattutto quando si toccano due piccoli e discreti monumenti dedicati a due alpinisti deceduti in età giovanile.
Il Ghiacciaio del Calderone e il Laghetto Sofia ghiacciato
Le ulteme rampe del ghiacciaio
Il Ten. Silvio Scatozza l’8 luglio 1966, durante una traversata alpinistica del Gran Sasso: attivissimo segretario ed uno degli Alpini fondatori del Gruppo, vittima del suo sviscerato amore per la montagna, infrange la sua giovane vita sui roccioni del Vallone delle Cornacchie. A memoria, il Gruppo Alpini di Pescara d’intesa con la locale sezione del C.A.I. ereggono una stele sul luogo della sciagura e, da allora, ogni anno l’ultima domenica di luglio organizza un pellegrinaggio in quei luoghi e fa celebrare una Messa in suffragio.
Le sommet e il Lago di Campotosto
L’Alpinista Giuseppe Raggi che il 12 Novembre del 1972 trovò la morte tra queste montagne. Peppino frequenta nel 1958 il primo corso di roccia del Club Alpino Italiano – Sezione di Ascoli Piceno – e ne diventa a sua volta istruttore pratico negli anni seguenti; nel 1967 è direttore del 7° Corso di Roccia. Muore durante un uscita dell’11° corso di alpinismo sul ghiaione sopra il Rifugio Franchetti. Giuseppe era un alpinista esperto e nel corso degli anni conquista molte vette, molte salite invernali e prime salite; nel 1970 partecipa ad una spedizione sul “Munzur” in Anatolia (Turchia centro-orientale) e conquista alcune cime tra cui: la vetta del Munzur, Torre Ascoli e Gunizer Dag. Durante la sua ultima estate, il 9 agosto del 1972, compie la prima salita assoluta sul M6 6138mt. nel corso della spedizione “Città di Ascoli” all’Hindu Kush afgano, valle di Mandaras.
La Vetta Occidentale del Corno Monte 2912 slm
A metà del ‘900, quando l’alpinismo sul Gran Sasso cominciava l’era del 5° alcuni scalatori tra i quali Andrea Bafile, nipote della M.d.V.M, pensarono di costruire un riparo nel cuore del Massiccio. Era il 1949 e il Franchetti, la cui costruzione iniziò nel ’58, non esisteva ancora.
Figure geometriche sull’Orientale
Occorreva un punto di appoggio per gli alpinisti tra Corno Grande e Corno Piccolo , scelsero il ripido pendio morenico che sale verso il ghiacciaio del Calderone a q.2600. Sotto due grossi massi, un po’ scomodi da raggiungere, costruirono un rudimentale bivacco e subito gli alpinisti lo battezzarono: “ju Busciu” (il buco).