Dal libro “Monte Circolo” –Isola Culturale- a firma di Igino Di Marco (Fossa 1980)
Parliamo del capitolo dal titolo “Mura Megalitiche” che riguarda un tratto della strada comunale che dall’ex abitato di Fossa raggiunge il Monastero Fortezza di Santo Spirito d’Ocre (Via Santo Spirito), e prosegue verso San Panfilo d’Ocre.
“…Si prosegue la salita per poco più d’un chilometro di strada recentissima sboccando presso il piccolo oratorio privato di Sant’Antonio, costruito dal mastro Sabatino Boccabella su ordinazione di Don Raffaele Bonanni nel 1883. Era una graziosa cappellina, semplice, casalinga, sincera, intonata all’ambiente montano, poi rovinata da un brutto tetto in cemento e dal passaggio della strada che abbassando il piano esterno, ha tolto al sottochiesa il carattere di una cripta funeraria.
Un po’ oltre l’oratorio, a sinistra, scendendo una disagevole china e difficili a ritrovarsi, pur se a una cinquantina di metri, esistono, fra la rada boscaglia (oggi diventata molto intrigata), resti di mura megalitiche di epoche preistoriche risalenti a un paleolitico incerto e che son formate da blocchi sovrapposti di grandi e medie dimensioni; alcuni in posto, altri caduti (e uno lungo oltre un metro, alto sessanta centimetri giace lì accanto) altri sovrastanti dalla discesa degli strati superiori del monte. Lo studioso che sa dare un significato a tali manifestazioni primordiali dell’uomo, si chiede come abbiano potuto fare quei primi… operai a sollevare e collocare in sito quegli enormi massi di anche qualche tonnellata. Non si può dire che mura fossero state, così fuori mano (oggi) e a quale specie di cultura si riferissero. Né si può dire se, nelle vicinanze, ce ne siano delle altre così coperte di muschio come sono, incrostate di licheni e del colore azzurrognolo di rocce ossidate. In ogni modo non rientrano nel megalitismo classico di carattere religioso, celebrativo, funebre, astronomico o altro ma, piuttosto, in opere nostrane con finalità pratiche locali. Può darsi che in questi luoghi stazionassero, così fra monte e piano, rocce e chine boscose, ripe e valloncelli ove non manca la selvaggina, delle postazioni di uomini molto primitivi, e tanto più che nei dintorni c’è sempre stata l’acqua e c’è tuttora”.
Attraverso le letture effettuate sui testi del Prof Vito Maria Giovanazzi (1773) che per primo ha individuato il sito archeologico di Aveja, riteniamo di credere che questa opera muraria non è altro che il muro di sostegno della strada che partiva dalla vicina Città di Aveja e raggiungeva il territorio Marsicano.
Rilievi e descrizioni incantevoli; luoghi, percorsi, panorami e arcaiche rimanenze del genio umano, fortificano e richiamano interessi di necessarie conoscenze sempre più approfondite.
Ottimo lavoro Paolo.