L’Acquedotto di Castel del Monte

Da Fonte Vetica si diparte l’acquedotto che adduce dagli inizi del ‘900 l’acqua a Castel del Monte che, con uno sforzo corale dei pastori, riuscì, senza sovvenzioni di sorta, a realizzare il sogno certo millenario di avere l’acqua in Paese. Sforzo a mezza via tra il sogno e la capacità di fare ove si pensi che il Paese visse sempre con l’acqua dei pozzi, alcuni dei quali ricavati all’interno delle abitazioni, alimentati anche dallo scioglimento della neve sui tetti.

Nel 1902 su progettazione  dell’ing. Inverardi, con la collaudata teoria dei “vasi comunicanti”, fece arrivare l’acqua al paese di  Castel del Monte, mentre i residenti del luogo  si recarono in chiesa “gridando” al miracolo  perché, secondo loro, l’acqua, dalla Piana di Campo Imperatore,  non poteva risalire il valico di Capo la Serra posto a q 1600. Infatti l’ingegnere aveva previsto tutto in quanto la prima sorgente che alimenta l’acquedotto è posta a q 1826, sotto la Sella di Fonte Fredda,  perfettamente in linea e al di sopra della “teoria”.

Ogni anno il  22 marzo ricorre la “Giornata Mondiale dell’Acqua”, che passa sempre  inosservata a causa di altre problematiche quotidiane che hanno un impatto più incisivo sull’opinione pubblica (guerre, pandemie, terremoti, omicidi, processi mediatici, ecc.).  Il tema delle acque sotterranee è invisibile ma importantissimo per la nostra sopravvivenza. Guarda caso, proprio quest’anno la ricorrenza è giunta dopo mesi di assenza di precipitazioni, soprattutto nella catena appenninica. Proprio i mesi di marzo e novembre sono quelli in cui generalmente cade la maggior parte delle piogge annuali. Invece si è verificato il contrario, con i fiumi del centro Italia in secca e il cielo inesorabilmente sereno, infatti i problemi per l’agricoltura sono stati notevoli e le falde sono scese a livelli preoccupanti, così come il livello dei bacini artificiali, con un vistoso calo della produzione idroelettrica, coinciso proprio in un momento di difficoltà nell’approvvigionamento energetico. Alla luce di tutto ciò ci dobbiamo preparare a fare meno affidamento sulla regolarità delle piogge e soprattutto delle nevicate con un oculato utilizzo dell’acqua che avremo.  Rimboschimenti e protezione delle sorgenti, miglioramenti nella rete idrica di distribuzione, che presenta perdite, in alcuni tratti, oltre il 40% della portata.  Dovremmo cominciare a pensare alla costruzione di invasi e cisterne che possono aumentare l’acqua disponibile, ma più importante sarà la riduzione dei consumi domestici, industriali e agricoli. Proprio l’agricoltura assorbe oltre i due terzi dei consumi: l’adozione di colture con minore esigenze idriche dovrà andare di pari passo con le moderne tecniche irrigue a bassa dispersione, già diffuse in Paesi meno fortunati climaticamente del nostro: per esempio Israele che da decenni guida la ricerca. Non ultimo bisogna incentivare la “cultura” dell’acqua, già nell’ambiente  familiare ed in sede  scolastica, in una realtà come la nostra, “privilegiata” al punto di averne dimenticato il valore.  Infatti solo un italiano su otto è consapevole che anche in Italia ci sono problemi idrici e che stanno aumentando inesorabilmente. Oggi è sufficiente che dal rubinetto l’acqua esce sempre, senza chiedersi da dove proviene e se ce ne sarà abbastanza. Paradossalmente la pioggia viene vista quasi come una seccatura nella vita di tutti i giorni e pochi la amano, invece accogliamo con piacere le previsioni meteo che promettono al prossimo fine settimana “stabile e soleggiato”.  Come scriveva il Sommo nel VI Canto dell’Inferno: “… la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova.”,  per accogliere la pioggia gioiosa, purificatrice e materna.  Oggi nessuna amministrazione pubblica sta pensando a riparare gli acquedotti, realizzati oltre cento anni fa e con una popolazione notevolmente inferiore a quella attuale. Come avviene da qualche decennio, le amministrazioni comunali non portano avanti progetti lungimiranti a beneficio dei nostri figli, quant’anche dei nostri nipoti, si attivano solo per un consenso elettorale immediato e successivamente essere traghettati al quinquennio successivo. Oggi, con non mai abbiamo il dovere di consegnare queste “comodità” alle generazioni che verranno, è l’impegno che una amministrazione pubblica deve assumersi, cioè di custodire e salvaguardare la “casa comune”. E’ la sola cosa che abbiamo! Significativa è la famosa similitudine del castagno e dell’ulivo: “Castagni e ulivi hanno la stessa anima. E’ l’anima lungimirante dei montanari e dei contadini che li hanno piantati ben sapendo che non ne avrebbero goduto i frutti. Né loro né i loro figli. Solo la terza generazione, quella dei nipoti, avrebbero avuto in dono la spremitura d’oro delle olive o la ben più povera farina di castagne. Eppure li hanno piantati, hanno saputo guardare avanti.”

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