Salire sull’Adamello, Vetta Sacra alla Patria, è una delle ascensioni più belle e commoventi che si possano realizzare, soprattutto nell’imminente ricorrenza del Centenario della Grande Guerra.
Questa montagna è stata teatro di aspre battaglie durante la Grande Guerra (1915 1918) dove, affrontando condizioni estreme, specialmente dal punto di vista climatico, l’esercito Italiano e quello Austriaco riportarono numerose perdite umane da ambo le parti, causate non solo dal fuoco avversario, ma anche dal freddo, da frane, slavine e da numerosi incidenti.
Tra gli accorgimenti adoperati dai due eserciti (gli Alpini per l’Italia e i Kaiserjäger per l’Austria) ci furono la realizzazione di trincee, postazioni fisse e tunnel scavati nella roccia e gallerie nei ghiacciai (una delle quali misurava 5 chilometri di sviluppo). Resti della cosiddetta Guerra bianca si possono trovare tuttora, specialmente nella zona del rifugio Garibaldi, ove si trovava la base italiana, e del rifugio Mandrone, a quel tempo quartier generale austriaco.
Vero e proprio monumento alla memoria è il cannone 149G detto l’ippopotamo, in uso presso la postazione italiana del Passo Venerocolo e ivi trasportato il 27 aprile 1916, per poi essere trasferito, con grande sforzo, sulla Cresta Croce dove si trova tuttora.
Sulla cima è installata una piccola croce montata su un cavalletto con la fotografia di Giacomo Comincioli, eroe camuno. Questa sorregge anche una campanella; sotto la croce si trova inoltre una piccola targa recante la Preghiera dell’Alpino.
“Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro sulle creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli Alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi ed in armi. Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi. Così sia”.
Dal punto di vista alpinistico, la vetta dell’Adamello fu vinta per la prima volta da un giovane alpinista boemo, Julius von Payer, assieme a una guida alpina della Val Rendena, Girolamo Botteri, il 16 settembre 1864. La squadra che supportò i due primi salitori era composta, oltre a loro, dall’altra guida alpina Giovanni Caturani e da un portatore locale, Antonio Bertoldi. Partita l’8 settembre, la spedizione commise due errori, dovuti alla mancanza di orientamento, scambiando due vette secondarie (il Dosson di Genova, 3419 m, e il Corno Bianco, 3434 m) per la cima principale, conquistandole entrambe prima di affrontare la vera cima. La prima Italiana è di sei Bresciani capitanati dal Generale Austriaco in pensione R. di Brehm, il 24 agosto 1871. Questa salita è da considerarsi Italiana perché all’epoca Brehm vive in Italia e perché avviene dal versante Italiano (Val Salarno). Nel 1875, per la salita all’Adamello, il capitano degli Alpini G.B. Adami dà queste indicazioni: “La (via) più comoda e la più facile è certamente quella di Salarno”. All’opera di Adami, che frequenta il Gruppo dal 1875 a capo della XIII Alpini di stanza a Edolo, si deve la prima carta 1:100000 del versante Italiano.
Difesa da un ripido salto dove oggi si rincorrono le strette serpentine delle famose “scale del Miller” la stupenda valle percorsa dal torrente Rémulo non si mostra che all’ultimo momento. Uscendo dagli ultimi ed agognati gradoni del faticoso sentiero, il panorama si amplia improvvisamente: quasi scorresse un fotogramma, la valle si mostra in tutta la sua ariosa bellezza.
Come è ricorrente in Adamello, la roccia più bella non la si trova sulle pareti ma sulle strutture di media valle. Le pareti, con alcune significative eccezioni, sono generalmente disturbate dai comuni licheni neri sui versanti occidentali mentre l’erba non manca su quelli meridionali.
Nella seconda metà dell’800 la ricerca scientifica in Adamello si sviluppa parallelamente all’esplorazione alpinistica. Immediatamente dopo la conquista delle vette e la misura delle loro quote si cerca di comprendere da quali rocce sia costituito il massiccio e di scoprire quali fenomeni abbiano permesso la sua messa in posto. Gli studiosi analizzano gli aspetti riguardanti il massiccio intrusivo vero e proprio, le rocce immediatamente adiacenti a quest’ultimo (aureola di contatto) e la sequenza sedimentaria delle rocce incassate. In questi anni il maggior contributo alla ricerca geologica in Adamello è da attribuire a W. Salomon che si occupa, durante i numerosi anni di studio, soprattutto dei processi metamorfici proseguendo le ricerche dei suoi illustri predecessori R. Lipius, A. Escher, Von der Linth. Per gli studi sulle rocce sedimentarie meritano di essere ricordati A. Amighetti, G. Cacciamali e F. Von Hauer. Infine un importante contributo alla conoscenza delle rocce intrusive viene dato da G. Von Rath e A. Baltzer.