L’Eiger, la cima dell’Oberland Bernese che è sinonimo di difficoltà, paura, impresa. Della sua temibile parete nord si possono raccontare molte storie, dalle impegnative tecniche di arrampicata, dalle tragedie di cui fu teatro, al film che vi girò Clint Eastwood per arrivare alle ardimentose ferrovie che vi vennero costruite. Nel suo leggero sferragliare nei nove kilometri di gallerie -scavate alla fine dell’Ottocento dai muscoli di oltre 200 minatori Italiani, per lo più Aquilani, e da pochi Svizzeri- il treno sosta in due stazioni nelle viscere dell’Eiger: Eigerwand e, più su, Eismeer. Dalla prima ci si affaccia, si fa per dire, sulla mitica parete nord con la speranza, spesso vana, di scorgere qualche alpinista impegnato nella nord; dalla seconda, sul lato opposto, sempre attraverso la vetrata, si ammira il ghiacciaio Obers Ischmeer. Le finestre panoramiche originariamente altro non erano che lo sbocco di gallerie laterali dalle quali veniva espulso il materiale scavato nel ventre della montagna. Anche in queste gallerie, meno sicure di quella principale, lavorarono gli Abruzzesi, tenaci e duri come le rocce da asportare, ma anche più esposti ai rischi, per una misera paga che bastava esclusivamente per acquistare un pezzo di pane.