Un giorno con il “Re Mida” I miti e le leggende che i nostri avi ci hanno tramandato sono tanti, in particole ci colpisce quello singolare del Re Mida, il quale volendo essere molto ricco e potente prima e saccente dopo, successivamente implorò il Dio Dioniso (nella mitologia Greca, Dioniso era la più importante divinità terrestre) di togliergli tutti i poteri ricevuti in precedenza, altrimenti sarebbe morto di fame. Secondo la versione narrata da Publio Ovidio Nasone ne “Le Metamorfosi”, un giorno Dioniso aveva perso di vista il suo vecchio maestro e patrigno, Sileno (è un personaggio della mitologia greca e corrisponde al vecchio dio rustico della vinificazione e dell’ubriachezza antecedente a Dioniso). Il vecchio satiro si era attardato a bere vino perdendosi ubriaco nei boschi, finché non fu ritrovato da un paio di contadini frigi, che lo portarono dal loro re. Mida riconobbe Sileno e lo trattò affabilmente, ospitandolo nella sua reggia per dieci giorni e notti, mentre il satiro intratteneva il re e i suoi amici con racconti e canzoni. L’undicesimo giorno, Mida riportò Sileno in Lidia da Dioniso, il quale, felice di aver ritrovato il suo anziano tutore, offrì al re qualsiasi dono desiderasse. Mida, approfittando di questa benevolenza, gli chiese il potere di trasformare in oro tutto ciò che toccava , fra cui il fiume Pattolo (“fiume della Lidia -la Lidia è un’antica antica regione storica localizzata nell’Asia Minore occidentale, nelle attuali province turche di Manisa e l’entroterra di Smirne-. -Pattolo è il nome antico dell’odierno Sartcay, che nasce dal Monte Tmolo, scorre presso le rovine di Sardi e confluisce nell’Ermo. Dagli antichi fu detto anche Χρυσορρόας per la presenza di sabbie aurifere., la cui reale ricchezza d’oro viene fatta risalire a tale leggenda-”). Il re si accorse presto però che in tal modo non poteva neppure sfamarsi, in quanto tutti i cibi che toccava diventavano istantaneamente d’oro. Rendendosi conto che la sua cupidigia di denaro lo avrebbe portato alla morte, implorò Dioniso di togliergli tale potere. Il dio, impietosito dal pentimento del re, esaudì la richiesta. Mida fu successivamente punito da Apollo, in quanto non lo aveva nominato vincitore in una gara musicale, con un paio di orecchie d’asino. Solo il barbiere del re era a conoscenza della cosa, ma il re gli intimò di non raccontare a nessuno la sua deformità, pena la morte. Costui tuttavia, non riuscendo a mantenere il segreto, andò a confessarlo in una buca presso uno stagno. Così, il servo fu convinto di essersi tolto il grave peso senza parlarne ad anima viva. Tempo dopo un flebile sussurro riempì la reggia e la città, e il segreto non fu più tale: da quella buca, per volontà di Apollo, erano nate delle canne che sussurravano scosse dal vento: Re Mida ha le orecchie d’asino! Oggi ci occupiamo della storia del condotto rinvenuto sotto il “Canale del Tesoro Nascosto”. Nell’apocalittica Valle di Maone, leggendario luogo che la fantasia popolare vuole raduno di anime penitenti, scavato, meglio intagliato nella roccia dolomitica che è di base a Corno Piccolo, si apre lo sbocco di un caratteristico condotto sotterraneo, oggi con poca acqua, ma un tempo il rigagnolo si vedeva da lontano. L’accesso è facile, superato il piccolo tratto boscoso precedente il Canalone dei Ginepri, al di sopra di un piccolo brecciaio si tocca il punto della parete dove si apre il budello. Una piccola arrampicata di quattro metri e poi l’ingresso. Occorre la lanterna e vesti protettive per l’eccessiva umidità. Si entra di testa e, carponi, strisciando su un letto sassoso, si inizia la mirabolante esplorazione. Alla luce della lanterna le pietruzze levigate sembrano pepite, le goccioline d’acqua perle e i pacifici abitanti fantastici esseri di una policroma società sconosciuta. Al suo interno si notano venature di pirite magnificamente cristallizzate e luccicanti, dando l’impressione di essere in presenza di una “possibile” miniera d’oro. La curiosità smorza e attutisce gli ammaccamenti prodotti dall’insolito modo deambulatorio e un balzo del condotto che permette di alzarsi e sgranchirsi, apporta sospiri di sollievo, per poco però, che dopo aver imboccato per poco il condotto ed averlo percorso per un’altra decina di metri l’aria diviene irrespirabile ed un rumore lontano di acque fa pensare all’orrore di una improvvisa inondazione. Allora un prepotente desiderio di uscire invita a volger le terga. Cosa molto difficile: conviene supini, affidarsi alla guida dei piedi, che tentoni ritrovano la strada percorsa, mentre gli occhi, passata l’illusione del primo momento, guardando con sprezzo e con tristezza questa povera dimora di slavate farfalline e di orridi vermiciattoli.