di Domenico Alessandri – Alessandro Clementi – Carlo Tobia
DAL BOLLETTINO DEL CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DELL’AQUILA DICEMBRE 1980
L’idea di pubblicare i risultati di ricognizioni sui nevai permanenti del Gran Sasso, spesso sconosciuti alla gran massa degli escursionisti ed alpinisti, scaturisce dal desiderio di far conoscere a tutti tale fenomeno che può costituire di per sé motivo di interesse e fornire la possibilità di mete escursionistiche diverse da quelle abituali; è nostra convinzione, inoltre, che lo stesso fenomeno, a quote a volte eccezionalmente basse, sebbene ignorato dalla geografia ufficiale, abbia anche nelle sue piccole dimensioni, una importanza di carattere generale. Esso infatti , in seguito ad osservazioni sistematiche a lunga scadenza, può costituire, insieme alle osservazioni sul ben più noto «Calderone» un possibile indicatore delle variazioni climatiche sull’Appennino Centrale.
La descrizione sarà limitata ai nevai più importanti, a quelli cioè che hanno un riflesso diretto ed evidente sulle caratteristiche idrologiche delle zone interessate poiché regolano i regimi dei corsi d’acqua dipendenti da essi, pur non tralasciando di considerare i nevai minori che influiscono pur essi, anche se in forme meno appariscenti, sui regimi idrologici generali .
La letteratura sui nevai del Gran Sasso non è molto ricca. Le nostre modeste indicazioni vogliono costituire solo stimolo ad ulteriori ricerche.
Nevaio del Fosso della Rava
Descrizione
Il nevaio del Fosso della Rava è situato sul versante N del Vado di Ferruccio (Tavoletta 140, III, NE).
La sua maggiore peculiarità è la quota: m 1500 s.l.m. che pare sia da considerarsi eccezionale ed unica nel mondo a tale latitudine (va tenuto conto che la geografia ufficiale attribuisce tale primato al Ghiacciaio del Calderone situato ad una quota (2.700 m.) di ben 1.200 metri più alta).
Il nevaio è contenuto, tra le quote 1.500 e 1.700, dalle due pareti rocciose verticali del Fosso della Rava. Questo è un autentico «cCANYON » con esposizione NE, scavato dalla acqua lungo una linea di frattura.
Le sue pareti, alte fino a 100 metri, sono formate da strati rocciosi in serie rovesciata costituiti: in alto da banchi, con spessori variabili fra 0,5 e 2 metri, ad andamento subverticale, di calcari bioclastici del cretaceo medio, e da calcari bianchi fittamente stratificati (scaglia) del cretaceo superiore; in basso da un grosso pacco di sottili strati di calcari marnosi rossi e verdi intercalati con frequenti straterelli e lenti di selce del paleocene.
Tali rocce pur non presentando tracce evidenti di macrofossili contengono abbondanti frammenti di essi e numerosi microfossili.
Il nevaio è lungo attualmente 450 metri, largo in media 30 metri, ha profondità massima di circa 60 metri; la pendenza della sua superficie, abbastanza omogenea, è di circa 25°, mentre il profilò di fondo del canalone è .molto discontinuo e presenta nella parte mediana salti verticali di oltre 30 metri (1).
La sua fronte presenta una bocca, con corso d’acqua sul fondo costituita da una galleria la cui altezza, circa mt.-2;5 all’Imbocco; si riduce man mano. Non se ne è compiuta la esplorazione, ma è ipotizzabile che superato il tratto iniziale questo piccolo tunnel riassuma, nel tratto mediano, le dimensioni già riscontrate nel ’74.
La stratificazione, ben evidente dove è possibile l’osservazione delle fiancate, costituita da un’alternanza di strati di ghiaccio nero per l’alto contenuto di detriti con strati molto più puliti, e l’enorme quantità di detrito (zolle erbose e pietre) specialmente a monte sulla sua superficie, sono segni inconfutabili di valanghe, e ciò giustifica insieme alle caratteristiche morfologiche della sua sede l’eccezionalità della quota a cui il nevaio esiste. – Un’ulteriore giustificazione deriva dalle caratteristiche del suo bacino di raccolta: l’area che lo costituisce circa 3 kmq. (compresa fra 42° 26′ – 42° 27′ lat. N e 1° 14′-l° 45′ long. E) comprende tutta la fascia superiore del versante settentrionale della cresta del Vado di Ferruccio e del versante orientale di M. Prena tra le quote 1500-2400, per la larghezza di circa 2 km.; la pendenza media del suolo (circa 40°), la sua natura (lussureggiante vegetazione erbosa (2) e fasce rocciose levigate dall’azione degli agenti atmosferici), unite all’azione del vento “dominante” di SO forma in inverno su questo versante grosse cornici di neve, ne fanno un ideale terreno per la caduta di valanghe.
Il ruscello che scaturisce dal nevaio percorre il tratto inferiore, molto scosceso, del Fossò della Rava e, sempre conservando questo nome, raccoglie a q. 600 (100 mt. più in alto di Castelli) il contributo del Leomogna che scende dalla parete N del M. Camicia, per versare nel fiume Mavone che è uno dei grossi affluenti del Vomano.
-(1) – La valutazione di questi dati è fatta correlando le osservazioni dell’ottobre del ’74 con la ricognizione del 30 settembre 1980. Nel ’74 tutto il tratto medio inferiore del fondo del canalone era percorribile e ben visibile poiché il nevaio evidentemente in fase di magra, oltre ad esser ‘più corto di circa 100 metri, presentava una galleria di fondo alta a volte più di 30 metri e discontinui ma frequenti crepacci laterali che come finestre consentivano un’ottima visibilità. Lo spessore nella zona mediana era allora di oltre 50 metri (due corde doppie, attraverso un crepaccio laterale, una di 20 ed una di oltre 30 metri permisero di raggiungere il fondo) attualmente esso non può essere inferiore a 60 metri, tenuto conto che a molte e a valle il nevaio, dove nel ’74 non esisteva affatto, ora presenta uno spessore di oltre 10 metri.
(2) – La rigogliosità della vegetazione che d’inverno si corica a valle per effetto del p so della neve costituendo un autentico scivolo è dovuta oltre che ai favori del clima, alla totale assenza in • questa zona, di animali da pascolo . Esistono segni evidenti (muretti a secco e brevi tratti di sentiero ricavati nella roccia) di una presenza di pastori che risale però a parecchi decenni di anni fa.
Itinerario
È un’idea di Mimì Alessandri, rinverdita dalla presenza del Bollettino, quella di rilevare tutti i nevai permanenti del Gran Sasso numerosi nel versante nord, anche se presenti tuttavia, nel versante sud: raro ma cospicuo esempio di questi ultimi il nevaio del canalone della sorgente Rionne. È un’idea che gli nacque indubbiamente quando per quattro giorni nell’ottobre del 1974, insieme al giovanissimo Pier Giorgio De Paulis setacciò tutto il versante nord-nord est del Prena-Camicia- alla ricerca degli escursionisti Palumbo e Marinacci dispersi a causa di una nebbiata sul Vado di Ferruccio e discesi per un errore che stava per diventare di estrema tragicità, anziché nel versante aquilano, in quello di Castelli.
In quell’occasione i due dispersi furono ritrovati appunto da Alessandri e De Paulis in una forra strettissima del Fosso della Rava nella quale erano precipitati. L’avventura si risolse felicemente, e la setacciatura del territorio fatta da Alessandri e De Paulis servì a far rilevare aspetti poco noti o, quanto meno, poco o affatto registrati. È da notare infatti che la Carta dell’I.G.M. del’55, soprattutto per quanto riguarda il Gruppo Prena-Camicia ci sembra alquanto imprecisa (a proposito: non sarebbe il caso che nel nostro amato-odiato Paese si procedesse ad una nuova rilevazione cartografica?). Evidentemente solo sulla base del rilievo aerofotogrammetrico sono state tracciate le curve di livello giacché, altimetro alla mano, esse non risultano a volte molto precise. Il che fa sospettare che non vi sia stato il rilievo in loco col topografo e relativa tavoletta. Basterebbe a ribadirlo il fatto che non risulta nella rilevazione cartografica del Fosso della Rava il nevaio permanente che è stato meta di una nostra divertentissima escursione. Speriamo la prima di una serie che valga se non ad una rigorosa rilevazione, quantomeno ad un accertamento di presenze, come dicevamo, non registrate. •Orbene, quella della rilevazione è un’idea di Mimì Alessandri che ci venne manifestata nel corso della riunione della Commissione Pubblicazioni nelle quali si studiava il taglio da dare al Bollettino. L’idea trovò tutti entusiasti. Abbiamo atteso per realizzarla la fine di settembre giacché solo in questo periodo dell’anno si giunge al limite massimo della fusione delle nevi: nel corso della notte si hanno le prime gelate e quel poco che durante l’insolazione fonde si riconsolida con il freddo notturno. La montagna ha già riacquistato, a livello di sensazioni, quella sua malìa di solitudine con i tramonti violetti e brevi che preannunciano il lungo inverno. Si parte il 30 settembre Mimì ed io e si raggiunge in un’ora da Campo Imperatore il Vado di Ferruccio (m.2.245, ore 9,30). Si inizia subito la discesa verso il Fosso Rava. Inizialmente si segue l’itinerario n° 7 parzialmente attrezzato con catene. L’occhio esperto di Alessandri ritiene di seguire una via più scalettata (l’erba bagnatissima e il pendìo molto scosceso consigliano attenzione).
Guadagnato il fosso che l’itinerario 7 attraversa, scendiamo in verticale ed arriviamo (q.1.800 circa, ore 10,30) alla testata di un nevaio di cui non vediamo il fondo. E quello da esplorare. Per calarci bisogna discendere attraverso• rocce levigate dalla neve e dall’acqua, Mimì mi assicura. Occorrono più di due tese di• corda di quaranta metri l’una, quindi 1a•parete rocciosa della testata del nevaio ha una ottantina di metri di pendio roccioso scosceso.
La neve è durissima e staccata, ovviamente, dai bordi del canalone. Si notano molti strati. In alcuni punti la profondità laterale raggiunge i quaranta metri. È quindi presumibile che al centro del canalone si raggiungano i sessanta metri di profondità. Non abbiamo i ramponi, ma un evento pregresso (forse una valanga) ha riversato sulla superficie del nevaio una gran quantità di rami ed erba secca, che rendono agevole la nostra discesa. È commovente vedere zolle erbose e ricche di fiori che vivono solo ora, sul finire dell’estate la loro primavera: Ricca la fioritura di genziane alpine e di campanule. Iniziamo (ore 12) la misurazione del nevaio: contiamo undici tese di corda di quaranta metri per complessivi 440 metri. Immettono nel nevaio principale due bracci laterali, uno dopo un centinaio di metri dalla testata, ed un altro a pochi metri dalla fine. L’altimetro all’ultimo salto del canalone, dove finisce la neve, segna quota 1.500. Dalla lingua estrema fuoriesce un piccolo torrentello attraverso una profonda galleria scavata nella neve, che, muniti di impermeabili, risaliamo per un centinaio di metri fino al buio completo. Sempre a livello di sensazioni è straordinario, mentre riguadagniamo l’uscita, vedere aumentare la luminosità, come se un interruttore a manetta da teatro determinasse quell’effetto scenotecnica. Inizia quindi la risalita. Riguadagnata sul fianco est del canalone, ricco di arditi insediamenti pastorali ormai diruti, la• testata del nevaio, riprendiamo l’itinerario7 (ore 14,30) e dopo una breve sosta (ore 15,15) traversiamo la parte superiore del fosso Rava per sboccare nel canalone est sottostante la comba nord del monte Prena e che prende il nome di Fosso di Pila (ore15,45). È un canalone strettissimo di cui non vediamo il fondo. L’occhio esperto di Mimì che diagnostica per questa esplorazione occorre una attrezzatura alpinistica completa (martello, chiodi, corde, casco). In ogni modo rileviamo dalla carta che il canalone della Pila molto a valle confluisce nel canalone della Rava. L’esplorazione è finita.
Ora riguadagniamo attraverso pendii erbosi molto ripidi il salto della comba nord del Prena. Il panorama sulla Nord del Camicia• è imponente: dalla cresta lo sguardo salta fin quasi sotto il fondo della Salsa che si intuisce attraverso il verde intensissimo dei boschi. Per facili roccette siamo finalmente entro la comba e quindi attraverso la cresta riguadagniamo il Vado di Ferruccio e stendiamo a Campo Imperatore (ore 19).
Esiste la possibilità di un altro itinerario più logico perché più breve.
Si parte da S. Salvatore di Castelli (m. 751) e al primo bivio a destra s’imbocca la carrareccia che porta in località Camiciole dove è l’inizio dell’itinerario n° 18. Seguire tale segnavia fino al limite superiore del bosco ove sbuca a q. 1.550 c. sul crestone erboso che separa il bacino della Salsa da quello della Rava (imponente e totale visione della parete N• del Camicia e della frastagliata Cresta di Ferruccio).
Traversare orizzontalmente a destra su pendio erboso per circa 400 metri fino a raggiungere il bordo destro di un canalone che, con discesa di circa 400 metri su pendio ripido misto di erba ed infide placche rocciose, porta sulla fronte del nevaio (ore •2,30 circa). Ritorno sullo stesso itinerario.
N.B. – Tali itinerari non presentano elevate difficoltà tecniche, purtuttavia, per le insidie che il tipo di terreno può celare (erba e rocce levigate spesso rese scivolose dall’umidità) vengono consigliati solo ad escursionisti esperti (alpinisti). Non guasterebbero, supposto, che se ne conosca l’uso, uno spezzone di corda da 20 metri due anelli di cordino e due moschettoni per l’assicurazione in brevi passaggi.
In una recente ricognizione nell’agosto 2017 con gli Alpinisti: Pierluigi Polce, Marco Daniele, Francesco Massimi e Viviana Dox, dopo un’estate a dir poco torrida, abbiamo potuto constatare che le condizioni della vedretta non erano del tutto drammatiche; anzi non ci saremmo mai aspettati di vedere il nevaio già dal traverso in quota. Questo lo si deve attribuire alle copiose nevicate del gennaio 2017 che, attraverso la forte pendenza del luogo, c’è stata un’alimentazione violenta e cospicua. Basta ricordare la tragedia di Rigopiano per capire la quantità di neve caduta su tutta la fascia nord della catena del Gran Sasso.
Paolo Boccabella