La vetta, dal 1929 porta il nome di Achille Ratti, ovvero Pio XI; questo Papa è diventato famoso per ben altro, basta citare la prima Orientale al Monte Rosa, il Cervino nel 1889 e la Via Italiana aperta sul Monte Bianco nel 1890, tre salite molto significative per l’epoca e di alto livello. Per molti, assidui frequentatori della Montagna e pure alpinisti incalliti, questa torre che si erge tra la Val Maone e le pareti dell’Intermesoli è solo un picco senza nome, spavaldo torrione che non merita una goccia di sudore per essere conquistato; è stato probabilmente il Club 2000, col suo incipit per la “grande corsa” ai 2000 ad aver ridestato interesse per questo gendarme della Val Maone. E’ stato scalato la prima volta da Ernesto Sivitilli nell’estate del 1923, per il versante Orientale. Ma prima del 1929, com’era chiamato? Tra le carte degli Aquilotti si legge che i paesani di Pietracamela lo chiamavano “il Dito del Diavolo”, poiché era spesso preso di mira dai fulmini e per la sua forma simile ad un pollice (con l’unghia strapiombante verso le sorgenti di Rio Arno e il polpastrello arrotondato verso la Conca del Sambuco). Proprio il “Diavolo” l’hanno eletto Papa. Il 25 settembre 2004, a 75 anni da quella data e dalla fondazione dell’Opera Salesiana Pio XI in Roma, un gruppo di Salesiani ha raggiunto la cima per porre una targa commemorativa.
Veniamo ai fatti: Nel mese di aprile del 1929, alcuni soci della Sezione Teramana del Club Alpino Italiano, proposero al Consiglio Direttivo di intitolare una vetta del Gran Sasso al Papa Pio XI, alla luce della Sua forte passione per la montagna. L’idea riscosse consensi e plausi, così, l’allora Presidente Savini si sentì autorizzato ad inviare una lettera a S.E. Rev.ma il Cardinale Gasparri per domandare il Sovrano assenso del Pontefice. Il Santo Padre espresse il suo compiacimento a mezzo di una lettera personale. Si cominciò allora l’organizzazione dell’adunata. Il Consiglio Direttivo, conscio della responsabilità cui andava incontro per l’importanza della cerimonia che esorbitava dall’ambito della Provincia, nominava subito un Comitato d’Onore presieduto da S.E. il Prefetto Comm. Natoli ed un Comitato esecutivo presieduto dal Presidente del Sodalizio Teramano. Nel primo erano comprese tutte le autorità civili, religiose e politiche della Provincia con i Presidenti delle cinque Sezioni del CAI d’Abruzzo, e del secondo facevano parte il Vice Presidente della Sezione dott Gerardo Ferrara con il Segretario geom. Carlo Torinese, ed i signori dott. Ernesto Sivitilli, avv. Giuseppe Mariani, rag. Carmine Leone, avv. Giuseppe Palombieri, ing. Gregorio de Dominicis, rag Elettro De Ascentiis ed il Canonico don Giacinto Marcozzi. L’ORGANIZZAZIONE
“Questo Comitato si mise alacremente al lavoro: l’avv. Palombieri si occupò della magnifica targa di bronzo facendosi dettare il bellissimo distico latino dall’illustre prof. Filippo Caccialanza, nonché dei distintivi ricordo, non giunti malauguratamente in tempo; nello stesso tempo mandò corrispondenze al “Corriere della Sera” e al “Messaggero” per spargere la buona notizia. Il geom. Torinese e il rag. De Ascentiis si diedero con tutto entusiasmo agli studi contabili ed amministrativi che, bisogna riconoscere, furono superati brillantemente malgrado le difficoltà. L’ing. De Dominicis si prodigò diligentemente per la reclame e la stampa e, con l’ausilio del bravissimo artista Melarangelo, che disegnò il superbo cartello della Croce e la Piccozza, riuscì perfettamente nell’intendo. L’avv. Mariani diede la sua pratica di provetto organizzatore e il rag. Leone quella preziosa conoscitore delle finanze. Il dott. Ferrara concesse i lumi della sua proverbiale conoscenza di ogni strada della montagna. Il dott. Sivitilli fu il superbo animatore di Pietracamela ed il centro raccoglitore di tutte le varie iniziative locali. Don Giacinto Marcozzi assistette tutti in ispirito. Una delle difficoltà maggiori fu rappresentata dalla organizzazione dei mezzi logistici e si deve alla valentia del Comitato di Pietracamela ed alla disciplina ed allo spirito d’ordine delle popolazioni di Pietracamela, di Fano Adriano e Cerqueto se si potettero avere pronte tutte le numerose cavalcature occorrenti poiché si voleva trasportare sul posto il maggior numero di persone essendo stato deciso che le cerimonie dovessero essere due e contemporanee. Una per le Autorità e per la maggior parte dei gitanti si sarebbe svolta sotto il Picco Pio XI, nel suggestivo Bosco delle Mandorle, e l’altra, per gli alpinisti allenati, sulla vetta: in ambedue si sarebbero detti gli Uffizi Divini: dal Vescovo di Penne ed Atri nella valle e dal Cappellano degli Aquilotti don Remo Di Carlantonio sulla vetta. Furono quindi organizzate due distinte comitive: la A guidata dal dott. Marramà e dall’avv. Palombieri per il Picco XI e la B dal dott. Ferrara ed alla quale face parte una B bis, per coloro che sarebbero venuti col treno del mattino e per il gruppo delle autorità. Il relativo programma, i manifesti ed i cartelli reclame furono inviati a tutte le Sezioni d’Italia, affissi in tutti gli angoli della regione, in molte spiagge del litorale adriatico e un po’ dovunque in Italia. Appositi incaricati presso la Sezione fornirono schiarimenti, consigli, istruzioni a quanti ne chiedevano, prenotarono, dietro richiesta, gli alloggi, il vitto e le cavalcature. LA INDIMENTICABILE GIORNATA Nei giorni precedenti il Raduno il Presidente si stabilì a Pietracamela dove, constatato l’entusiasmo della popolazione per l’adunata e tutto quanto s’era fatto dal comitato locale, valorosamente presieduto dal dott. Sivitilli, coordinò le iniziative e scelse il posto della cerimonia non senza aver prima offerto un fiore e una preghiera sulle croci che segnano la caduta dei nostri indimenticabili Cichetti e Cambi ed ossequiato S.E. il Vescovo di Penne già arrivato in paese. Lo sostituì a Teramo il Vice-presidente Ferrara. Comunque tutto fu antecedentemente disposto ed a tutto pensato. Il Presidente nel ringraziare il Sommo Pontefice del Suo assenso e compiacimento chiese l’invio di un rappresentante o la nomina di un delegato. Nello stesso tempo pregò pure S.E. Sardi, Presidente dell’Istituto L.U.C.E., di mandare un operatore cinematografico per ritrarre i superbi panorami e i punti salienti della cerimonia. La prima quindicina di agosto fu contrassegnata da una sequela di temporali che, specie in montagna, furono oltremodo violenti. Tutti erano preoccupati che il tempo dovesse guastare una manifestazione, così lungamente e pazientemente organizzata, e si può dire che vi fu qualche defezione dovuta esclusivamente al timore di una inevitabile bagnatura. Nessuno avrebbe pensato invece che il giorno 15 agosto, dall’alba al tramonto, dovesse essere uno dei più belli e radiosi del mese. La sera del 14 cominciò l’invasione di Pietracamela e gli abitanti vissero assieme ai gitanti la bella notte stellata e pura fra canti, suoni e grida gioconde. Non è una figura retorica dire che il paese non dormì, perché assolutamente non ci fu tempo per dormire. Alle 4 le prime luci dell’alba videro i primi arrivi della giornata. Quelli che dormivano ebbero la sveglia. Arrivavano i primi gruppi dei Teramani ed Aquilani, saliti su a piedi, cantando le canzoni della montagna, e diretti verso la valle per dare la scalata a Picco Pio XI. Li accoglievano affissi murali policromi inneggianti alle autorità civili e religiose, ai due deputati on. Savini, arrivato il giorno prima e ricevuto festosamente dalle locali autorità e dalla popolazione, ed on. Forti che componeva, da autentico alpino, il gruppo di testa degli scalatori; alla sezione di Teramo del CAI valorizzatrice di Pietracamela, alla strada Ponte Rio Arno a Pietracamela, ai gitanti tutti. Dopo una breve sosta per ricomporre i vari gruppi la comitiva continuava la marcia. Ne facevano parte oltre un centinaio di persone delle quali oltre ottanta raggiunsero la vetta. I suoi nomi noti delle sezioni di Teramo e Aquila (a quel tempo la lettera “L” ancora non c’era) oltre altri rappresentanti di altre sezioni sorelle. Molte signore e signorine gettavano una nota di gentilezza e di colore. Due di queste, valorosissime, salirono il Picco Pio XI: la sig.ra ing. Giuditta Palombieri del CAI di Teramo e la sig.na prof.ssa Dirce Cavana del CAI dell’Aquila. Ancora una volta attraverso questo significativo desto dell’amabil sesso si strinsero i vincoli delle due sezioni, che il Gran Sasso affratella, pari in gentilezza negli intenti e nel valore. Il numeroso e valoroso gruppo aquilano era guidato dal Presidente avv. Iacobucci presente in ogni gita, in ogni scalata, in ogni avvenimento della montagna, mirabile esempio di passione profonda intelligente e fattiva. LA COMMOVENTE E ARDITA CERIMONIA SULLA VETTA La cerimonia svoltasi sul Pio XI sarà certamente ricordata nell’albo d’oro degli avvenimenti del Club Alpino Italiano. Essa fu piena di suggestione oltre che di grande significato. Il prof Verrua, amico valente della nostra montagna, ne ha fatta una descrizione che noi vogliamo qui riportare nei punti più significativi”.
L’ASSALTO AL PICCO “Si esce all’aperto, su per la vallata del rio Arno, lungo un sentiero costeggiante da un lato il fiume, e sottostante dall’altro a dirupi bigi, neri, stillanti qua e là di cascatelle e fontane tra i massi. La comitiva uscita dal paese compatta, si allunga, si fraziona, e i gruppi si distanziano; il cappellano presto prende a destra col mulo recante la cassetta dell’altare da montagna, e con lui si accompagna l’avv. Corrado Bafile, fratello di Andrea Bafile, l’eroica Medaglia d’Oro, cui è concessa la gloria del mausoleo nei fianchi della Majella. A mano a mano che si sale, si allarga il panorama: appaiono a sinistra pianeggianti i campi sciistici di Tivo: ecco l’Arapietra a 2000 m: ecco in tutta la sua imponenza formidabile il Corno Piccolo, accessibile solo agli alpinisti più arditi; ecco e la vetta occidentale, e la vette centrali, e la vetta orientale di Corno Grande, recingenti il ghiacciaio lucente del Calderone. Di fronte, l’Intermesoli; e sui fianchi dell’Intermesoli lunato, il picco scheggiato, dei Caprai e, più su nitido, meno accidentato di forma, ertissimo, quello che tra poco –appena quattro cinque ore di scalata- sarà il Picco Pio XI. Ma il tempo si cambia e ci investe un velario di nebbia. Dai boschi di Val Maone giunge indistinto a tratti un suono ormai quasi inusato, il suono della cornamusa, che mi avviene di sentire adesso per la prima volta in una decina di anni dacché batto i monti del Gran Sasso. Dal vertice occidentale di Monte Corno erompe ogni tanto e ascende una nuvoletta bianca che da luogo ad rombo di una esplosione: chi lancerà i petardi da lassù? Siamo prossimi alla vetta, alfine! Sono quasi le undici e mezza! Un ultimo sforzo e, superato il pendio ripidissimo, ora prevalentemente erboso, ci issiamo sulla vetta! Ivi sono già ad attenderci il cappellano degli Aquilotti, Di Carlantonio, l’avv. Bafile e altri, partiti prima di noi: in tutto siamo una settantina di persone. Ma ci avvolge la nebbia: che disdetta! Come assorbiti dai vapori, sono spariti Corno Grande e Corno Piccolo: la stessa cima striata d’Intermesoli, sovrastante, a così poca distanza, noi per trecento metri, non traspare più. LA MESSA SULLA MONTAGNA Si decide di iniziare tosto la messa: l’altare da montagna è preparato: ardono rossicci i ceri, difesi contro lo spirar del vento entro le loro teche di vetro; alla destra dell’altare garrisce al vento il gagliardetto della Sezione di Teramo. Torno torno si dispongono gli alpinisti, taluni in ginocchio, i più seduti, qualcuno addirittura disteso sull’erba, nello sfinimento delle cinque ore di ascesa : ai limiti del gruppo spicca pensosa la figura biblicamente ieratica del prof. Levi Bianchini, e, poco lontana da lui, assopita, con gli occhi chiusi come se dormisse, abbandonata sull’erba sotto il sole, che a malapena riscalda, si stende la figura giovenilmente esile della prof.ssa Cavana, una delle due signorine ascese quassù; l’altra è l’ing. Palombieri, campeggiante giunonicamente serena nel gruppo teramano. Previa una opportuna brevissima allocuzione con cui il celebrante Di Carlantonio dichiara ai presenti il significato della cerimonia, nel silenzio più assoluto comincia la messa, servita dall’alpinista avv. Corradino Bafile. All’elevazione risuona l’ “attenti”, squillato col suo olifante dal col. Ricca Rosellini: tutti anche gli assopiti nella sfinitezza, si inginocchiano, e insieme, giusta accordo preso, un gruppo di alpinisti disposto duecento metri più in basso al Picco dei Caprai, con l’accensione di erba secca inumidita, produce una fumata per significare l’istante solenne alle autorità e alla gente raccolta nel Bosco delle Mandorle. Ma avran visto di laggiù la fumata attraverso il velario della nebbia? All’ “attenti” squillato dal colonnello risponde in lontananza cupo un rombo di tuono, minaccia vana di un temporale che poi svanisce. E tra la nebbia, più vicino, dalla vetta lunata dell’Intermesoli, giungono fievoli dei canti popolari: sono escursionisti dispersi, sbandati, cui, nella foschia che tutto avvolge, sfugge la solennità del momento. Ma temporale lontano e canti profani vicini non turbano per nulla la cerimonia, più intima, più sentita, più commovente nel raccoglimento conseguente alla mancata visibilità del panorama circostante; abbiamo visto prima, dal basso, la cima ardua da intitolarsi al Pontefice: ora siamo su questa cima, assistiamo alla consacrazione della cima al Pontefice –al primo degli alpinisti contemporanei- per secoli. Una ovazione a Pio XI erompe dal petto dei presenti a messa finita”. LA TARGA A messa finita colazione al sacco, sul consacrato Picco…, da parte di chi durante l’ascesa faticosa e lunga è stato capace di astenersi dal consumare tutta la propria provvista d’acqua. Gli altri –e sono i più- sitibondi, rimangono in contemplazione malinconica dei dirupi malamente visibili tra la nebbia, e, per darsi un contegno, si sforzano di apparire intenti a leggere e a interpretare la targa bronzea fissata sulla vetta pietrosa del Picco, con un distico, invero degno dell’altezza ardua, dettato dal professore Filippo Caccialanza di Roma: C.A.I – Sezione Teramo Praeceps aerii specula de montis in orbem Undecimi deferetur et nomen et goria Pii Battesimo Picco Pio XI XV Agosto MCMXXIX-VII (*) Per la storia deve rimanere che l’azzurra fiamma del CAI di Teramo sventolò per prima sulla vetta, come era dovere di ospiti, piantatavi dai soci De Carolis e Fontacone.
(*) “Dalla cima aerea di questo monte volerà per il mondo il nome e la gloria di Pio XI”.
Aggiungo: con queste premesse arrivò a L’Aquila l’Arcivescovo Carlo Confalonieri, già segretario particolare di Papa Pio XI.
Walter Cavalieri “Non escluderei che l’arcivescovo Carlo Confalonieri (poi cardinale), fosse amante della montagna proprio in quanto segretario particolare di Pio XI. Non a caso volle salire al rifugio Duca degli Abruzzi il 5 agosto 1941, appena insediatosi nell’arcidiocesi aquilana. Considerando quando fece nel suo ruolo durante la seconda guerra mondiale per proteggere la Città e i cittadini, sarebbe doveroso dedicargli – come avvenne ufficiosamente quel lontano 5 agosto – il picco o la cresta che percorse nella sua escursione sul Gran Sasso”.