Anni addietro, qualche studioso, o meglio, aleggiava un’ipotesi che il Ghiacciaio del Calderone superava la Forchetta omonima e si “affacciava” sull’Altopiano di Campo Imperatore, ovviamente senza la produzione di una documentazione necessaria. Infatti, in virtù di questa supposizione, abbiamo dato inizio alle indagini presso gli archivi e le biblioteche dell’Aquila e di Teramo, con il coinvolgimento delle sezioni del Club Alpino Italiano della Regione Abruzzo e del Lazio. Durante questa fase, attraverso il ritrovamento di qualche disegno della fine dell’800, che alleghiamo, l’ipotesi che la vedretta scavalcasse la Forchetta era fondata; fino a quando, nel 2008, non viene tradotta, dalla Professoressa Ilona Mesits, insegnante di tedesco all’Università Politecnica delle Marche, la famosa traversata delle “Tre Vette”, partendo dalla Vetta Occidentale per raggiungere quella Orientale, ad opera degli Austriaci: Hans Riebeling e Hans Schmidt, realizzata nell’agosto del 1910, successivamente pubblicata in un libro dal titolo: “Il Mistero delle Tre Vette”. A firma della stessa professoressa e di Francesco Burattini (ITER Ediz 2012). Riporto fedelmente il passo degli Alpinisti contenuta a pag 16: “…una stretta fessura… ci conduce comodamente alla selletta successiva, il punto più basso della cresta. Da qui si raggiungeva facilmente il nevaio che si trovava sulla sinistra (le Terrazze della Coppitana). Davanti a noi si innalzava ripido e respingente il torrione (il Torrione intitolato a Mario Cambi). Dopo che il tentativo di superare il suo spigolo fallì miseramente, ci voltammo a destra (Forchetta del Calderone lato Sud-Est) e scendemmo per alcuni metri un ripido canale pieno di neve. Poi Schmidt iniziò ad arrampicarsi su per un camino…”: quello che per qualche tempo era stato attribuito al noto Alpinista Jannetta. A questo punto, la presenza della neve è stata confermata, era solo necessario trovare un documento fotografico. A quei tempi tutte le escursioni o alpinistiche che partivano da Assergi, verso il Corno Grande, passavano per il Passo della Portella, non essendoci ancora tracciato il sentiero per la Sella di Pratoriscio, oggi denominata impropriamente “Campo Imperatore”. In realtà “Campo Imperatore” è tutto l’Altopiano che dalle Fontari si spinge fino a Fonte Vetica. Proprio in virtù di questo passaggio “nascosto”, le foto che testimoniassero la presenza della lingua glaciale verso l’Altopiano era diventata un’operazione disperata… Tuttavia, dopo minuziose ricerche, suffragati dalla precisa relazione degli Alpinisti Austriaci, finalmente si è arrivati al ritrovamento del documento fotografico, databile tra il 1909-1912, di autore ignoto, in quando abbiamo ragione di credere, attraverso le testimonianze fotografiche dell’epoca, che il Ghiacciaio, dopo il 1912, si era già abbassato sotto la Forchetta.
Cenni storici sull’evoluzione della vedretta con alcuni appunti del Prof Claudio Smiraglia
L’apparato glaciale del Calderone costituisce certamente uno degli “oggetti” geografici e paesaggistici più affascinanti del Massiccio del Gran Sasso e nel contempo rappresenta uno dei ghiacciai italiani più interessanti. Non sono certo le sue dimensioni a renderlo tale; la sua superficie non superiore a 5ha ne farebbe, in un altro contesto geografico, uno dei tanti piccoli apparati glaciali o addirittura “glacionevati” di limitatissima importanza.
Invece sin dalla seconda metà del secolo scorso la sua unicità nella catena appenninica e la sua localizzazione nell’area mediterranea (Messerli, 1980), nel corso degli anni, hanno attratto studiosi italiani e stranieri. Se il primato appenninico del Calderone non è mai stato posto in discussione, la sua qualifica di “ghiacciaio più meridionale d’Europa” non ha sempre trovato pieni consensi. Nella Sierra Nevada spagnola si localizza, ad una latitudine inferiore a 38°, un apparato che prima della fine del secolo scorso costituiva un piccolo ghiacciaio con una superficie di circa 14ha; dopo decenni di continuo arretramento, il Ghiacciaio del Corral di Velata si è ridotto ad una piccola placca di nevato (Messerli, 1967). Anche il Ghiacciaio del Calderone (latitudine 42° 28’ 15” N), ha subito, come si vedrà più oltre, una notevole perdita di area e di spessore; allo stato attuale della ricerca è tuttavia proponibile una sua declassazione a livello di semplice “glacionevato”.
Del resto la discussione fra gli studiosi se il Calderone dovesse essere considerato un vero e proprio ghiacciaio, è piuttosto antica. Con le prime osservazioni di Marinelli e Ricci (1916) che sottolinearono la presenza di crepacci, di una spiccata foliazione, di ghiaccio compatto nel settore inferiore, di evidenti morene frontali e laterali, il carattere essenzialmente glaciale dell’apparato fu pienamente confermato e trovò l’appoggio di studiosi stranieri come Klebelsberg (1930); il Calderone figurò dunque a pieno titolo nel Catasto dei Ghiacciai Italiani (C.N.R. – Comitato Glaciologico Italiano,1962).
Abbiamo ragione di credere che il Marinelli aveva letto il libro a firma di Enrico Abbate, pubblicato nel 1888, dove viene riportata uno stralcio della relazione del 1871 per opera degli scienziati alpinisti Saint Robert e Berruti: “…di ritrovare questa vedretta solcata orizzontalmente da larghi crepacci e staccata dalle rocce circostanti in molti punti, certo per l’irradiamento dei raggi solari prodotto dai massi sui margini di contatto della neve. Disgraziatamente, non essendo fornito di corda e di piccozza, non mi riuscì poter percorrere questo campo di neve per risolvere con certezza il quesito ed esaminare se la morena a valle sia solo l’avanzo di un antico ghiacciaio o appartenga ad un ghiacciaio moderno”. E aggiungono: “…quasi al centro dell’anfiteatro ed in direzione del brecciaio si apre il varco un ruscelletto detto Ruscello della Morte, il quale, scendendo verso N-E, fra le due pareti di roccia calcarea, e raccogliendo tutte le acque delle nevi le versa, in una bella cascata, nel sottostante Mavone.”
Già dal 1929 erano comunque iniziate le osservazioni sistematiche di D. Tonini nell’ambito delle campagne annuali promosse sia dal Comitato Glaciologico Italiano che dall’Istituto Idrografico di Milano, che le proseguirà per un trentennio, dandone notizia in numerosi articoli (ricordiamo solo Tonini, 1934,1936,1955,1961). Attraverso accurati rilievi topografici nel 1934, nel 1955 e nel 1960, Tonini evidenzia da un lato la generale persistenza della massa glaciale ai piedi del Corno Grande, dall’altro sottolinea la progressiva perdita di volume dell’apparato attraverso i decenni e la variabilità dell’alimentazione nevosa invernale. In particolare dal confronto dei rilievi del 1934 e del 1960 si ricava una diminuzione media di spessore dell’apparato di 7m (corrispondenti a 0,27m/anno), mentre nel settore inferiore si registra un abbassamento della superficie di 20m (0,72 m/anno); dal punto di vista volumetrico si è avuta una diminuzione di circa 420.000 m3, con un valore medio annuo di 16.000 m3, financo alla formazione di un noto Laghetto inframorenico, successivamente ribattezzato, sempre dall’Ing Tonini: “Laghetto Sofia”, in onore di colei che sarebbe diventata sua moglie: Sofia Mapei. https://www.icorridoridelcielo.it/la-vera-storia-del-laghetto-inframorenico-sofia/
Che il Calderone abbia rappresentato una massa glaciale persistente è dimostrato anche dalle osservazioni svolte nei secoli passati; ricordiamo in particolare il De Marchi che nel 1573 sale la cima più elevata del Gran Sasso e nella sua relazione, considerata la prima salita documentata di una montagna, segnala la presenza di una vasta massa di “neve perpetua” sul versante settentrionale della montagna; oppure Orazio Delfico che ripete la salita e le osservazioni oltre due secoli più tardi nel 1794.
Per quanto riguarda l’Ottocento il Calderone è nitidamente rappresentato, oltre a varie altre citazioni e disegni, nella carta “Gran Sasso d’Italia”, pubblicata nel 1887 a cura della Sezione di Roma del Club Alpino Italiano. Per ritornare agli studi del nostro secolo, Tonini nel suo lavoro del 1961 tenta di correlare le osservazioni trentennali sul ghiacciaio con la dinamica climatica del gruppo del Gran Sasso. Egli è ben consapevole che per un apparato glaciale così particolare dal punto di vista morfologico non è possibile utilizzare i classici metodi in uso sui ghiacciai alpini, caratterizzati da una fronte netta e ben distinguibile, le cui variazioni sono misurabili ogni anno. Le sue considerazioni sullo “stato di salute” del Calderone in un evidente contesto di deglaciazione quale si sta osservando dalla seconda metà del secolo scorso, si rifanno sostanzialmente alla presenza o meno di masse nevose residue alla fine di ogni estate, che esercitano una duplice funzione; da un lato infatti proteggono dall’ablazione il ghiaccio sottostante, in particolare attraverso il fenomeno dell’albedo, dall’altra accumulandosi in più annate possono dare origine a nevato e a ghiaccio attraverso i vari processi diagenetici. Utilizzando i dati di numerose stazioni metereologiche distribuite attorno al Gran Sasso, e soprattutto quella di Isola del Gran Sasso, Tonini compie una complessa analisi del clima attraverso l’utilizzo di un particolare indice di glaciazione (che mette in relazione le precipitazioni totali annue con le temperature medie annue, entrambe espresse in funzione delle rispettive medie), egli individua alcuni periodi freddi e umidi favorevoli alla glaciazione, contrapposti ad altri meno favorevoli. Le osservazioni svolte sul ghiacciaio concordano in misura sufficientemente significativa, specialmente per quanto riguarda la seconda metà degli anni trenta e la seconda metà degli anni cinquanta, periodi entrambi favorevoli allo sviluppo del glacialismo. Le osservazioni di Tonini saranno poi proseguite dal prof. G. Zanon dell’Università di Padova, che dal 1962 al 1979 compirà una decina di visite al ghiacciaio.
Successivamente, nell’ambito dei programmi di ricerca della Cattedra di Geografia dell’Università D’Annunzio –sede di Pescara-, riallacciandosi agli studi precedenti torna a progettare una serie di osservazioni sul Calderone. Come primo passo si sono riprese le analisi climatologiche di Tonini per il periodo 1929-1961; utilizzando le stesse metodologie e raccordando i dati della stazione di Isola del Gran Sasso con le osservazioni effettuate sul ghiacciaio, si sono individuati due periodi favorevoli al glacialismo verso la metà degli anni sessanta e nella seconda metà degli anni ottanta, in coincidenza con il fenomeno di espansione glaciale, seppur di limitate dimensioni, avvenuta sulle Alpi, fra gli anni sessanta e gli anni ottanta. I primi risultati di questo studio sono stati presentati al Convegno sulle “Variazioni climatiche recenti (1800 – 1990) e le prospettive per il XXI secolo” svoltosi a Roma nell’aprile 1990 (Smiraglia – Veggetti, 1990), che ha consentito un utile confronto fra eventi climatici e glaciali dell’Appennino e con altre catene montuose.
La parte sicuramente più interessante, e anche di più complessa realizzazione delle ricerche programmate, consiste certamente nei rilievi sul terreno. In particolare ci si è posti un problema della quantificazione delle variazioni volumetriche attuali del ghiacciaio, cui si può arrivare attraverso il cosiddetto bilancio di massa. In pratica attraverso la collocazione di una rete di punti di misura distribuiti sulla superficie del ghiacciaio (visualizzati da paline metalliche inserite in fori praticati nel ghiaccio con una trivella a mano), è stato possibile determinare le variazioni di spessore del ghiacciaio dalla fine di un periodo di ablazione (settembre) ad un altro. Estrapolando i valori misurati presso i singoli punti a tutta l’area del ghiacciaio e tenendo conto della densità media del ghiaccio, è stato possibile conoscere il volume di equivalente in acqua acquisito o perso dalla massa glaciale. Le osservazioni e i rilievi compiuti a più riprese durante le estati del 1988 e del 1989 hanno evidenziato la peculiarità e le difficoltà che si incontrano sul Calderone. Si è constatato ad esempio la notevole quantità di neve residua presente sulla superficie dell’apparato nella prima parte dell’estate. Attraverso appositi rilievi si sono misurati nella prima settimana di luglio del 1988 e del 1989 spessori di neve mediamente superiore a 2,5 m con punte superiori a 3 m. Alla fine dell’estate il ghiacciaio appariva quasi totalmente privo di neve vecchia e ricoperto nel settore medio-inferiore da una coltre detritica che solo a tratti lasciava apparire il ghiaccio vivo. La pericolosità del settore superiore, esposto anche a scariche di sassi, non ha permesso la collocazione di paline nella parte alta del ghiacciaio, mentre una decina di punti di misura sono stati situati nel settore medio-inferiore. Di questi, collocati alla fine dell’estate 1988, solo quattro sono stati ritrovati alla fine dell’estate 1989. Sono troppo pochi evidentemente per ipotizzare un bilancio di massa per l’intero ghiacciaio. Sono comunque emersi dati interessanti sugli spessori di fusione, che vanno da un minimo di 70 cm di ghiaccio a un massimo di 200 cm nella parte più bassa. Alla fine dell’estate 1989 sono state collocate paline più robuste con la speranza di una resistenza maggiore alle scariche di sassi, alle valanghe e…agli escursionisti. Di certo l’area del Calderone appare caratterizzata da una dinamica morfologica estremamente rapida e attiva, grazie soprattutto alla fusione di masse imponenti di neve e ai fenomeni di degradazione delle pareti rocciose circostanti. Sicuramente il volume del ghiacciaio si è ridotto in misura considerevole in questi ultimi anni, in particolar modo nella parte bassa, e il fenomeno è destinato a continuare se si tiene conto del limitato innevamento dell’inverno 1989-90 e se le temperature estive si manterranno vicino ai valori degli anni scorsi .
Come già osservato da altri Autori, la presenza di un ghiacciaio in quest’area è un fatto del tutto anomalo, legato a vari fattori strettamente locali quali l’esposizione, la morfologia e la copertura detritica. Credo sia da attribuire soprattutto a quest’ultimo fattore la sopravvivenza recente del Calderone, che si potrebbe definire ad oggi un piccolo “ghiacciaio nero”. Tutto il settore inferiore del ghiacciaio presenta una caratteristica morfologica superficiale a coni e avvallamenti, cavità e dossi, che ricorda, fatte le debite proporzioni, quella del Miage o addirittura dei giganteschi ghiacciai del Pamir e del Karakorum.
Solo sui fianchi dei coni detritici più ripidi affiora il ghiaccio vivo, subito preda dei processi di fusione, che innescano fenomeni di scivolamento dei materiali superficiali particolarmente evidenti nel settore sinistro idrografico. Ghiaccio si ritrova anche al disotto della grande morena frontale che sbarra il circo ove è contenuto il Calderone, che può quindi essere definita, almeno in parte, “ice-cored moraine”, dove un tempo si formava il famoso “Laghetto Sofia”; è ghiaccio ben stratificato, compatto, ricco di clasti negli strati inferiori, la cui sopravvivenza e la cui evidenza morfologica rispetto alla fascia del ghiacciaio situata più a monte, ma a quota inferiore, sono sicuramente dovute alla protezione esercitata dallo spesso mantello detritico. Come appare da questi brevi cenni, il Ghiacciaio del Calderone costituisce sicuramente un oggetto di studio di estremo interesse per la sua localizzazione e per i suoi caratteri intrinseci. Fra questi la determinazione della velocità di scorrimento mediante ripetute misure topografiche, il calcolo degli spessori di ghiaccio con metodi geoelettrici, l’analisi fisico-chimica del ghiaccio contenuto nella morena e la datazione della morena stessa per identificare il periodo di massima espansione storica. Sono tutti temi di studio che potranno dare notevoli contributi alle conoscenze della storia naturale di questo lembo d’Abruzzo e probabilmente suggerire anche ipotesi sull’evoluzione futura.
Oggi di quel che era del Ghiacciaio del Calderone rimane solo ghiaccio residuo tra pietre e detriti. Un ghiacciaio quasi del tutto scomparso a causa dei cambiamenti climatici e declassato, già dal 1990, a “glacionevato”, cioè un accumulo di ghiaccio di ridotta superficie e di limitato spessore.
Questo apparato glaciale, come abbiamo già scritto, negli anni passati, ha fatto tanto parlare di se ma in quest’ultimo periodo la situazione è decisamente compromessa. La perdita di massa generalizzata di diversi metri, specialmente negli ultimi vent’anni ha determinato una situazione oramai quasi irreversibile. Infatti già nei primi anni del nuovo millennio il ghiacciaio del Calderone si era separato in due placche, una è rimasta sotto la Vetta Occidentale a quota 2800, mentre l’altra è rimasta nella morena inferiore a quota 2700 ca., separate da una strettoia centrale dove sono affiorate le rocce montonate, tipiche formazioni calcaree rilasciate dal ghiaccio in scivolamento. Specialmente l’ultimo quinquennio l’apparato glaciale ha subito una fortissima riduzione di spessore che hanno evidenziato una perdita di massa generalizzata di diversi metri.
Effettivamente, c’è la necessità, al di là degli scoop, di fare il punto sulle condizioni del ghiacciaio e sui possibili scenari futuri (i più “torbidi” vedono le due placche ridotte a pochi metri di spessore o fuse nei prossimi anni), con dati aggiornati e confermati da analisi scientifiche. Per questo è urgente intervenire collettivamente e al più presto: la politica deve fare la sua parte mettendo in atto azioni concrete passando dalle parole ai fatti; ma in questa partita, che riguarda e coinvolge tutti, anche i cittadini possono e devono dare un mano nel loro vivere quotidiano.
Altre autorevoli figure e istituzioni hanno seguito l’evoluzione dell’apparato glaciale del Calderone, oggi con l’ausilio di apparecchiature georadar, come ad esempio il CETEMPS dell’Università dell’Aquila, l’Università di Roma 3, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il C.N.R. , con pubblicazioni scientifiche a livello internazionale, pur ripartendo sempre dalle relazioni precedenti, senza di essi non sarebbe stato possibile tutto questo.
Un ringraziamento particolare va’ al Prof Frank S. Marzano, già Direttore del CETEMPS, che, purtroppo, ci ha salutato prematuramente e al Dott Massimo Pecci della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai quali va’ tutta la mia stima e riconoscenza per avermi introdotto e coinvolto in questa difficile missione, attraverso minuziosi e costruttivi insegnamenti.
Seguo il vostro sito da qualche tempo e, oltre a trovarlo utile per i percorsi segnalati ed illustrati, devo complimentarmi con voi per il lavoro di ricostruzione storica che avete fatto. Grazie!