L’Aquila- Santo Stefano nacque all’inizio degli anni ’80 in concomitanza delle prime edizioni della sagra della lenticchia, accreditata come la più antica che si conosca in Abruzzo, si svolgeva e si svolge ancora oggi, la prima domenica di settembre, nel piccolo borgo di Santo Stefano di Sessanio. L’idea di questa corsa/camminata la si deve al mio Amico Franco Leone il quale in un ragionamento quasi “scherzoso” mi invitò ad accompagnarlo a Santo Stefano, paese natale dei suoi genitori. Vi dico subito: sin dalla prima volta si è rivelato uno degli itinerari più affascinanti della media montagna Aquilana alle pendici della Catena meridionale del Gran Sasso. Un percorso ricco di emergenze culturali e ambientali che lo rendono unico nel suo genere. Lungo tutto il percorso, si incontrano costruzioni rupestri, abbazie, chiese, ricoveri pastorali, tra cui tholos, locce, stazzi, recinti in pietre a secco, grotte, cascate, sorgenti, laghetti carsici, ecc. Aggiungo, una lussureggiante vegetazione che va dalla macchia mediterranea fino al faggio di monte Carpesco per arrivare infine alle conifere nelle zone più ostili. Attraversa quattro emergenze ambientali, nello specifico: l’altopiano di Aragno/Camarda (Cesarano), Prato Fonno, meglio conosciuto come “Fugno”, Fugnetto e Piano Locce. Oggi queste alte e vaste pianure sono diventate praterie, tranne gli altipiani di Camarda e Piano Locce dove ancora c’è una fiorente coltivazione, dalla patata alla più famosa lenticchia, ma un tempo tutti questi terreni di media quota erano una ricchezza e un volano di vita per i paesi limitrofi. Oggi, noi terrestri ci godiamo la pace e la bellezza dei luoghi con i panorami che spaziano a 360°. La prima volta che affrontammo questo itinerario, conoscendo il tracciato solo su carta topografica, improvvisammo molto perché alcuni passaggi obbligati, soprattutto il tratto tra Camarda e Prato Fonno, furono una vera e propria epopea. Facemmo i conti con una fitta boscaglia che nel corso degli anni aveva chiuso, sia l’antica mulattiera di fondovalle che i sentieri pastorali. Arrivammo a Santo Stefano nel tardo pomeriggio, quasi a sagra chiusa. Immaginate la delusione… Vi racconterò la traversata di quest’anno, arricchita di ulteriori particolari prima sconosciuti, o meglio, si conoscevano ma con una storia diversa da quella che poi è stata accertata. Poco prima di iniziare l’escursione comunico a Francesco e a Mauro che è mio desiderio, quest’anno, fare sosta a Camarda a prendere il caffè, forse per la mia età a due cifre “importanti”, anche in virtù del meteo favorevole.
Si parte dall’antica Fonte Grossa, datata 1695, situata nella ridente frazione Aquilana di San Giacomo per imboccare la carrareccia che passa a fianco ad una grossa cava di inerti e raggiunge le Caminole, dove si attraversa un piccolo castagneto.
Si prosegue per un tratto su una pista ciclabile: poco prima dell’abitato di Aragno, si svolta a destra per tracce di sentiero fino a collegarsi alla stretta carrozzabile che proviene da Camarda. Sulla nostra sinistra ci sovrasta un colle dove è posizionata la graziosa chiesetta di Santa Barbara, risalente all’anno 1000, che insieme a Sant’Antonio da Padova sono i protettori di Aragno. Abbandoniamo sempre a sinistra delle piccole costruzioni a tholos per continuare sulla stretta rotabile che spacca a metà l’altopiano di Cesarano (fino a qualche anno fa quasi tutti i campi erano coltivati a patate. Infatti la raccolta di questo tubero coincideva con il nostro passaggio. Risuonava anche qualche canto popolare dei contadini dediti alla raccolta. Oggi, invece, molti campi sono stati trasformati a tartufaie), conducendoci ad un fontanile denominato: Fonte dei Prosperococco.
Una ripida discesa attraverso uno stretto sentiero ci conduce alle porte di Camarda dove incontriamo la Chiesa della Madonna di Valle Verde, sec. XVI.
A questo punto la deviazione per il caffè è già arrivata! Dopo esserci rifocillati, nel riprendere il cammino con l’attraversamento del torrente Raiale lo sguardo viene rapito da una costruzione di colore chiaro, da poco ristrutturata che presenta due epigrafi, su una c’è la località e la quota, mentre sull’altra, posta sopra l’archivolta, viene riportata una scritta latina, la nostra lingua madre: “Ostium sed non Hostium”. Come dire: a volte anche una sola “H” può fare la differenza…
Immediatamente chiedo ai miei due compagni di viaggio: “qui dobbiamo fare una foto”. Detto, fatto. A questo punto è doveroso uscire dall’itinerario per fornire le dovute spiegazioni. L’indomani, a mente riposata, mi metto alla ricerca di questa scritta domandando a qualche amico esperto se conosce l’origine dell’epigrafe sull’archivolta. Da informazioni quasi certe mi viene comunicato che la scritta si riferisce “sicuramente” all’epoca fascista, in considerazione del fatto che poco prima di arrivare a Camarda c’era la famosa sorgente/fontana di Valleverde, dove un tempo quasi tutti gli Aquilani andavano a fare rifornimento di quella buona acqua, costruita proprio negli anni ’30 del secolo scorso. Il cartello posizionato sulla banchina stradale recitava: “Ti fermi o passeger: ti prego, bevi! Ti sentirai le membra tutte lievi. Qualunque altr’acqua al mio confronto perde. Ricordati di me. Son VALLEVERDE…!”. Ma il caso ha voluto: proprio in questi giorni stavo leggendo l’appassionante e coinvolgente libro dal titolo: “Il Mistero delle Tre Vette” a firma di Ilona Mesits e Francesco Burattini quando, a pagina 53 mi colpisce una relazione dell’alpinista Tedesco Gottfried Merzbacher di Monaco di Baviera, transitato sul nostro Gran Sasso nel 1889. Riporto il breve passo da quando l’alpinista arriva in treno alla stazione di Paganica: “…Passando per Paganica e sempre costeggiando il selvaggio torrente Raiale attraverso una forra, la strada ci condusse al singolare e antichissimo santuario della Madonna d’Appari e da qui, ormai molto stretta e a seguito delle continue inondazioni in pessimo stato, a Camarda, un vecchio paese con piccole case annerite dal fumo e senza finestre. Soltanto una delle costruzioni era più piacevole grazie alle pareti tinteggiate con tonalità chiare da cui spiccava l’iscrizione: “Ostium sed non Hostium”…
Dopo aver finalmente attraversato il torrente del Raiale ci fermiamo presso un fontanile dove facciamo il nostro primo approvvigionamento di acqua.
Riprendiamo il nostro cammino lungo il fondovalle Ceotella, oramai quasi interamente urbanizzato, fino ad arrivare alla Fonte Vagnatore, nel dialetto locale viene denominata: Schizzataro, più che una fontana è una curiosa cascata caratterizzata dall’avvolgente muschio verdeggiante, dalla quale c’è un perpetuo zampillio di acqua, la cui base è sede di un laghetto con acque cristalline.
Dopo le foto di rito, ci inerpichiamo su un sentiero, a tratti roccioso, da qualche anno ripulito a dovere e contrassegnato da bolli rossi con alcuni ometti di pietra. Proprio in questo tratto un tempo il passaggio era complicato per la fitta vegetazione presente in loco. Infatti dovevamo salire di quota e attraversare l’abitato di Filetto. Si continua sempre sul fondovalle fino a raggiungere la sorgente Vagnadaro, un ripido sentiero, seguendo la segnaletica del Parco e quella predisposta dalla locale associazione di volontariato Felecta, ci conduce a costeggiare antichi insediamenti rupestri: in tempi remoti sono stati ricoveri pastorali, soprattutto invernali, a servizio di coloro che non praticavano la transumanza.
Qualche residente del luogo mi ha confidato che alcune di queste grotte sono state perfino abitate da famiglie, al tempo molto povere. Da qui si aprono meravigliosi scorsi sulla sottostante Valle Aquilana, fino ad arrivare alle prominenze più elevate del Reatino. Il nostro viaggio continua su un comodo sentiero che ci porta al cospetto della semplice ma rigorosa Abazia di San Crisanto (e) e Daria, a q 1202 (databile XII-XIII secolo. La sua costruzione può farsi risalire negli anni tra il 1140 ed il 1193, dai “Signori normanni di Poppleto” -oggi Coppito- molto prima quindi della fondazione della città dell’Aquila: 1254), i cui affreschi erano conservati, prima del terremoto, al Castello Cinquecentesco dell’Aquila.
Da questo punto la “navigazione”, per un buon tratto sarà a vista. In sequenza: si oltrepassa la fonte Cisterna, quasi sempre secca in questo periodo, si piega leggermente a destra sotto le pendici del monte Rofano, fino a conquistare monte Compustano, la cui cima è considerata la massima quota del percorso: 1457slm.
A questo punto si aprono meravigliosi scorci sulla Catena Occidentale del Gran Sasso, con il pittoresco Piano Fonno (Fugno), laddove il piccolo lago di Filetto ci ricorda tanto le vallate alpine (proprio recentemente un anziano prelato: Don Domenico Marcocci ha scritto un interessante articolo sulle origini e la conservazione del lago in questione http://assergiracconta.altervista.org/archivioNews.php?page=1&id=25930).
Si attraversa tutta la prateria di Fonno per arrivare all’ultimo rifornimento presente sul percorso: Fonte Pantani. Si riprende il cammino lasciando sulla destra, sopra una piccola collinetta, i ruderi del tempietto di Sant’Eusanio, restaurato parzialmente nel 1994, la cui costruzione risale alla fine del ‘500. Un’ampia carrareccia leggermente in salita ci immette nell’altro altipiano denominato Fugnetto dove è presente un ricovero pastorale, oramai dismesso. Poco più avanti ammiriamo la singolare conformazione ardita di monte Carpesco, 1548slm , circondato da una lussureggiante vegetazione, prevalentemente di faggi, che ci appaga la vista e soprattutto la fatica. Sappiamo che stiamo per imboccare la penultima discesa verso l’altopiano, quello di Piano Locce (da qualche anno questo Piano è stato recintato con il contributo del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga, per permettere la coltivazione della lenticchia e di altri cereali, minacciati dal passaggio dei cinghiali). Sulla nostra sinistra intravediamo gli ingressi di alcune grotte denominate: “Locce”, realizzate sotto il colle delle Scoppie. (Costruzioni agro-pastorali scavate sui pendii delle colline. Hanno un architrave a proteggere l’ingresso e qualche volta, sono dotate di altre strutture come camini o rivestimenti di pietra a secco. Erano usate durante gli alpeggi dai pastori come ricoveri e come stazzi dalle greggi, o anche come semplici depositi per attrezzi agricoli e provviste. Nelle immediate vicinanze troviamo S. Maria ad Carvons o ai Carboni, un’antica chiesa oggi adibita a ricovero pastorale). Inoltre, sulla nostra destra, a mezza costa di Monte Carpesco. si intravede una cavità sotto una placca rocciosa. Anch’essa, forse, un tempo poteva essere stata un ricovero pastorale.
Attraversato il Piano Locce è arrivato il momento di concentrarsi sull’ultima asperità del percorso: l’ormai famoso “Colle della Birra”. (In realtà il vero toponimo è Colle Tartalo, 1379slm, oggi ribattezzato della “Birra” perché qualche anno fa, di comune accordo, decidemmo di lanciare la bagarre finale per la conquista di tale Colle, con una prerogativa: una volta arrivati a Santo Stefano, l’ultimo che transitava sul valico, avrebbe pagato l’agognata bevanda a tutti).
Una discesa molto tecnica, attraverso un labile sentiero denominato: Le Strette ci conduce, dapprima al Piano Presuta e infine alla Madonna del Lago di Santo Stefano di Sessanio, dove termina la nostra traversata.