L’origine della corsa in ambiente montano
La corsa è una forma di locomozione da sempre utilizzata dall’uomo in ogni ambiente dove è possibile correre. In Valcamonica è visibile l’incisione rupestre del Neolitico che raffigura il sacerdote che corre, e probabilmente lo stesso uomo del Similaun utilizzava anche la corsa per spostarsi da un luogo all’altro delle Alpi Tirolesi.
In effetti, la corsa sulle lunghe distanze era probabilmente già utilizzata dalle popolazioni del paleolitico che si procuravano il cibo cacciando e raccogliendo, e successivamente nel neolitico, con lo sviluppo dell’allevamento degli animali anche nei pascoli d’alta quota, la corsa poteva rendersi necessaria per gestire al meglio le greggi e le mandrie. E ancora, i bracconieri e i contrabbandieri hanno per secoli utilizzato la corsa come forma di locomozione nelle loro montagne di confine, mentre i Tarahumars in Messico e i mitici monaci tibetani Lrun Pa, sono noti da sempre per le loro capacità di corsa attraverso le loro montagne.
Fin dall’antichità, le gare di corsa, assieme a quelle di lotta, hanno rappresentato probabilmente le prime forme di competizione umana. In montagna, le vette, soprattutto quelle più impervie, hanno da sempre suscitato il desiderio di conquista, e, una volta conquistate, il desiderio di ripetere l’impresa impiegando il minor tempo possibile oppure “concatenando”.
La prima competizione di corsa in ambiente montano di cui si ha notizia è stata organizzata nel 1064 in Scozia dal re Malcom Canmore (1031-1093) che aveva bisogno di selezionare un suo personale portadispacci. La prova consisteva nella salita di una ripida collinetta denominata Creag Choinnich (circa 200 m di dislivello). In questo caso si trattò di una prova di selezione per ottenere un lavoro e non di una vera e propria competizione sportiva. Da allora si ha notizia di persone che lavoravano nei servizi postali di vari Paesi utilizzando come forma di locomozione la corsa (si veda https://mtnath.com/history-competitions/).
Negli anni ’20 del secolo scorso, siamo agli albori di questa nuova disciplina della corsa in montagna, solo poche nazioni organizzavamo gare di questo tipo: USA, Regno Unito, URSS, Francia, Spagna, Giappone e Italia. I primi atleti italiani si allenavano sul Monte Bianco e sulle Alpi nostrane in preparazione della mitica Ivrea-Mombarone, delle Ultra in USA e in Inghilterra. Dovremo aspettare alcune altre decadi per diventare Organizzatori di gare di rilievo internazionale come il Mountain World Championship (1985) che apre la strada alla diffusione della disciplina agli atleti su tutto il territorio nazionale.
Nascita dello Skyrunning
All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, si incontrano Marino Giacometti, Giulio Sergio Roi ed Enrico Franchey: atleti professionisti e imprenditori sognatori e visionari. Queste tre persone speciali in tre modi diversi hanno dato un contributo determinante nello sviluppo di questa nuova disciplina. Rispettivamente: un grande atleta e fondatore della FSA (Federezione Sport Altitude) e poi dell’International Skyrunning Federation; un medico dello sport famoso per i suoi decennali studi sulle prestazioni in alta quota e l’Amministratore Delegato della FILA, di fatto uno dei primi sponsor di questi eventi sportivi. In tre parole lo Skyrunner è dunque l’atleta che pratica lo Skyrunning, ovvero il corridore (runner) del cielo (sky). Secondo lo spirito originario Skyrunning, i tracciati dovevano seguire la via più logica e veloce, possibilmente correndo (running) dal fondovalle ad una vetta, posta ad altitudine maggiore di 2000 m, oltre la quale c’è solo il cielo (sky).
Tutti e tre erano convinti che il Monte Bianco fosse il teatro perfetto per organizzare la prima gara internazionale. La stessa convinzione e determinazione che poi abbiamo avuto noi del Centro Sud.
Tra l’altro il Monte Bianco negli ultimi due secoli ha attirato l’attenzione di centinaia di alpinisti da tutto il mondo, che, con il suoi 4810slm è la montagna più alta d’Europa. Non basterebbe una biblioteca per raccogliere i libri che raccontano la storia di queste persone, la loro passione e le intense emozioni che hanno vissuto.
Quando si correva la COURMAYEUR – MONTE BIANCO- -teatro di grandi battaglie-
E’ il 28 luglio 1991, solo un trentennio fa, quando sulla linea di partenza sono presenti quattro atleti. Si, ho detto bene! Quattro atleti temerari: Adriano Greco, Marino Giacometti, Angelo Todisco e Sergio Rozzi, quest’ultimo nostro corregionale, precisamente di Avezzano. La loro sfida consiste nel percorrere 52km di salita e discesa sul Monte Bianco, partendo da Courmayeur, con un dislivello totale di 7220 metri (3610 pos 3610 neg). Gara dura, indimenticabile e vinta da Adriano Greco con l’astronomico tempo di 8h48’25”. Da allora, anno dopo anno il Monte Bianco, ma anche il Monte Rosa e l’Adamello sono stati teatro di sfide impossibili, sopra i 1.000, 2.000 e 4.000m. di dislivello positivo in pochi kilometri o decine di kilometri, che oggi tutti sogniamo e possiamo portare a termine.
Negli anni successivi, il Monte Bianco ha richiamato atleti di tutto il mondo che si sono cimentati in gare di Sky Running, Sky alp, Sky Bike, fino agli attuali Vertical e Trail Running. Senza mancare di rispetto a nessun atleta, è dovere ricordare che gli atleti più temerari e decisi a sfidare il Gigante Bianco sono stati il già citato Giacometti e l’infaticabile valdostano Bruno Brunod, che ancora oggi viene ricordato per aver spostato sempre più avanti l’asticella dei limiti della corsa in montagna.
Purtroppo di questa competizione sono state disputate solo tre edizioni…forse per il grande impegno organizzativo che richiedeva.
Chi ha avuto l’onore e il privilegio di partecipare a questa prova di alpinismo, al limite delle proprie possibilità, oggi può raccontare di aver fatto un’esperienza straordinaria. Una di quelle dove l’alpinista/corridore è da solo con se stesso. Si deve fidare soltanto delle proprie mani e dei suoi piedi appoggiati sovente ad asperità impercettibili della roccia e del ghiaccio. Un gioco con il rischio che lo porta ad avere sensazioni incomparabili, ma che comporta un duro esame psicologico con la possibilità, non poi così remota, di perdere la concentrazione e di cadere. Ci sono momenti in cui la mente deve fare gli “straordinari”, ma ne vale la pena. Ecco perché non si riesce a scrivere tutte le sensazioni che si provano in quelle dieci, interminabili, ore di gara. Forse è un segreto da tenere per sé. Non si tratta di filosofia spicciola, ma di emozioni da conservare con gelosia, senza esibirle al pubblico in quanto molti le ritengono al limite della moralità per quanto è alto il rischio di prendere la vita. Nei giorni nostri invece, dettati forse dall’egemonia dei social network e della documentazione “forzata”, si vedono sempre più filmati e foto di quello che già un tempo nel mondo anglosassone veniva chiamato “free solo”, ma che ora ha assunto le caratteristiche di un insegnamento: sbagliato…
Piano piano le sfide Sky Running hanno lasciato spazio a discipline meno tecniche ma ancor più impegnative come il Tour des Gèant di cui Courmayeur si è fatta promotrice anche in collaborazione con organizzazioni d’OltraAlpe, come l’Ultra Trail Mont Blanc a Chamonix che si affaccia sull’altro versante, quello Francese, del Monte Bianco.